© 2019. L'umanità riannoda i fili della conoscenza.

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Buona lettura e grazie della partecipazione!

Qualcosa da mettere sotto l'albero
da "Amareggiando"

Aperta la porta, si trovò davanti le ultime persone che si sarebbe aspettato di vedere.
“Mamma, papà!” disse sorpreso.
A fianco dei due c’era il padre del suo compagno, che sorrideva restando volutamente in disparte.
“Questa è la nostra sorpresa di Natale per te” dissero in coro, alle sue spalle, Maria e Luigi, che lo avevano seguito di nascosto.
Senza dire nulla, Marco andò incontro ai due e si abbracciarono.
“Cosa ci fate qui?” domandò il ragazzo, con voce rotta per l’emozione.
“Tuo padre ed io eravamo già d’accordo: tutti assieme abbiamo deciso di organizzarti questa sorpresa” spiegò sua madre.
“Non ci vediamo da un anno, da quando…”
“Da quando io e tua madre abbiamo saputo di voi due” intervenne il padre di Marco.
“Tu non lo sai, ma una settimana fa è venuta a trovarci Maria” che sorrideva alle spalle di Marco “È grazie a lei che siamo qui.”
“Cosa hai detto loro?” chiese Marco rivolto alla suocera.
“Nulla di speciale, che stavamo organizzando una cena per la Vigilia e saremmo stati tutti molto contenti se ci fosse stata la famiglia al completo” rispose lei.
“Noi vorremmo dirti che…”
“Non fa nulla, mamma” la interruppe Marco “Mi basta che siate qui con noi.”
Poi corse ad abbracciare Marco e Maria.
“Avete deciso di passare il Natale sulla soglia di casa?” chiese con tono scherzoso il padre di Luigi “Forza tutti dentro, andiamo a scaldarci vicino al fuoco.”
“Tu lo sapevi?” chiese Marco a Luigi.
“Certo che sì, ma l’idea è stata della mamma.”
“Voi siete stati la mia famiglia in tutto questo tempo e…”
“Ed ora abbiamo ritrovato anche la tua.”
I due si baciarono sotto gli occhi di entrambe le coppie di genitori.
Sarebbe stata quello il Natale più bello della loro vita, finalmente tutti riuniti attorno al focolare.
Da Parole sotto l'albero 2019
I ragazzi arrivarono a casa dei genitori di uno dei due intorno alle sette.
Era la sera della Vigilia e quando la madre aprì la porta si trovò davanti i due con una montagna di pacchi: sembrava la scena di un film di Natale, non si vedevano neppure le loro facce per quanti ne tenevano in mano.
Maria sorrise e disse loro di entrare.
“Sistemate tutto sotto l’albero, io ho da finire di preparare la cena, gli altri arriveranno tra una oretta” disse loro.
Faceva molto freddo, una perturbazione che arrivava dalla Scandinavia aveva fatto precipitare di botto le temperature molto vicino allo zero, nonostante un cielo terso e sgombro di nubi.
Presero posto vicino al fuoco che scoppiettava allegro nel grande camino del salone, subito dopo aver messo i pacchetti sotto l’abete, rigorosamente finto, posto al centro della grande stanza.
La tavola era addobbata con una bellissima tovaglia rossa, a fianco di ogni piatto un coniglietto rosso, vestito da Babbo Natale.
Un velo di tristezza comparve sul volto di uno dei ragazzi.
“Qualcosa non va?” gli chiese la persona seduta al suo fianco, carezzandogli dolcemente una guancia.
“Non è nulla…”
“Non mi inganni, stai pensando alla tua famiglia, non è così?”
“Mi avevi promesso che non ne avremmo più parlato.”
“Scusa, ma so quanto ti mancano.”
I due si abbracciarono, sotto gli occhi sorridenti della mamma.
“Tuo padre sarà qui tra poco, è dovuto uscire per una commissione dell’ultimo momento.”
“Tu che sei così ben organizzata, ti sei accorta solo adesso che manca qualcosa?”
“Non prendere in giro tuo madre, ragazzaccio” lo rimproverò bonariamente.
Poco più di mezzora dopo suonò il campanello.
“Vorresti andare tu ad aprire” chiese Maria al suo ospite “Luigi mi deve aiutare a finire qui.”
La donna gli fece l’occhiolino.

Maria d’azzurro cielo
annunci al mondo intero
che nasce dal tuo ventre
un bimbo bello e biondo
che salverà il mondo.
In Lui potrai contare
ogni affanno gli potrai donare.
Sarai amato e capito
giammai sarai tradito.
Sarà il tuo caro amico.
Non disperare mai
a Lui ti puoi affidare!
E tu ammalato
tu emarginato
drogato
tu fanciullo violentato
tu bambino mai nato…
tu sarai il più bell’angelo
del Creato.
Maria d’azzurro cielo
annunci al mondo intero
che nasce dal tuo ventre
un bimbo bello e biondo che salverà il mondo.

In genere non amo scimmiottare tradizioni di altri Paesi, ma questa leggenda mi ricorda quando ero piccola e mia madre mi ripeteva che i folletti, aiutanti della Befana, giravano sui tetti delle case per osservare i bimbi e farle poi un resoconto puntuale affinché lei potesse portare i doni o il carbone. La leggenda/tradizione che propongo, di origine americana, dice che nel periodo dell’avvento, un elfo di Babbo Natale arriva nelle case per osservare i bambini e riportare ogni notte tutti gli accadimenti proprio a Babbo Natale per aiutarlo a distinguere i bimbi buoni dai monelli. L’elfo, dice la leggenda, rimane fino alla Vigilia di Natale e, per tutto il tempo, non è possibile toccarlo perché altrimenti perderebbe il suo potere magico.
Come vedete queste due leggende sono simili e mi piace credere che il mondo sia unito da un fil rouge che attraversa mari e terre e si ricongiunge dall'altra parte sul quale, per magia, storie e leggende viaggiano da una parte all'altra dimostrandoci che non esistono confini e che la Terra è un unico grande villaggio globale.

Un canto di amore riecheggia nel cielo,
riscalda i cuori , proteggendo dal gelo,
il gelo che ha invaso il genere umano,
avidità dettata dalla voglia di denaro.
E’ nato in una grotta, tra mille avversità,
simbolo di gioia, nella povertà,
tutti accorrevan seguendo la cometa,
il suo splendore rende l’aria lieta.
Gli angeli in cielo, inni di Gloria,
in giro persone piene di gioia,
attendon il turno per ammirare il bambinello,
posto al centro tra il bue e l’asinello.
La magia del Natale su tutti trionfa,
e di buone azioni, l’aria ne abbonda,
felici pensieri creano l’atmosfera,
suggellan il futuro di chi, lieto spera.
Migliore è il presente, sereno il futuro,
si affrontan le paure con spirito puro,
spirito ricco di devozione,
magia del Natale e della sua tradizione.

I cigni e le anatre starnazzavano in orario insolito, si erano svegliati a causa delle innumerevoli luci che contornavano il lago e dei canti che provenivano da una delle molteplici processioni di fedeli nella notte santa: quella della chiesa della Madonna del lago, la SS. Annunziata, frequentata da molte famiglie di sfollati sopravvissuti al terremoto, tra cui la famiglia Ianni.
Popolina e le figlie, così come le altre donne, indossavano l’abito tradizionale, quello sgargiante della festa, con il copricapo ornato dai cordoncini intrecciati mentre Cesidio capitanava il gruppo maggiore degli zampognari accompagnato da un gregge di pecore. Chiudeva il corteo un uomo mascherato da orso, il simbolo marsicano amato e temuto a cui i pastori non avevano voluto rinunciare.
Alle nenie modulate delle zampogne, il cui ritmo veniva impresso ai passi illuminati dalle fiaccole, cappe, tabarri e scialli svolazzavano come ali di uccelli notturni che tornano al nido. La ripida salita verso il paese non costituiva uno sforzo per quegli uomini e per quelle donne che ogni giorno erano abituati a percorrere chilometri all’aria aperta, esposti a tutte le intemperie, provati dalla fatica, abituati al silenzio delle montagne, perché era la notte di Natale, una notte in cui tutte le luci si accendono per annunciare la nascita del Bambinello, una notte in cui non si dorme per pregare che l’anno prossimo sia migliore per tutti. Una notte in cui, dopo la messa, si spezzano solitudine e digiuno mangiando le sagne, le lasagne abruzzesi, e lo zupettone, l’agnello cotto con le uova e il pecorino, innaffiati da abbondante vino rosso fin quando ci si addormenta felici, in compagnia.
Altrettante luci rimandate da lanterne e torce a fuoco adornavano ogni strada, i vicoli stretti, gli archi, le fontane e le piazze di Scanno, il più bel borgo d’Abruzzo, adagiato nella valle del Sagittario, quasi scivolato dai dirupi per dar luogo a una comunità di industriosi abitanti già da molti secoli.
Quella notte del ventiquattro dicembre la luna piena guidava dall’alto i pellegrini al posto della cometa, illuminava vicoli e piazze e l’interno dei portoni spalancati per la ricorrenza. Sulle pietre portanti degli archi i simboli e gli stemmi gentilizi riflettevano l’immutato abbraccio della natura con l’inviolabilità degli uomini e delle donne di quell’unico presepe vivente, inciso come un merletto nelle materie nobili.
Dal capitolo 9 de Il Cherubino

Faville
danzanti rosso acceso
aspirano al volo subito spento...
Braci ardenti giallo cangiante
e nero d'inferno nello sfondo
cocente e lucido scoppiettio
vibrante di esili arbusti.
Ipnosi
visiva del calore e del fuoco
il natale da soli col camino acceso
riempie lo spirito di fiduciose attese,
ma la verità è che mi manchi...
E il silenzio
non è il momento peggiore
è più penoso decidere d'uscire
tornare a farsi aggredire
dall'allegria degli altri che festeggiano
e non provano il mio stesso dolore.
Vorrei cedere
lacrime e sospiri
per avere in cambio
la messa a fuoco
di emozioni e di giorni
che invece trascorrono
nell'estenuante
stupore della perdita
che non diminuisce
ma attanaglia...
Mi manchi...

Mentre tutta la città si prepara al Natale e le strade piene di colori e profumi risuonano di allegri saluti e gioiosi auguri, il vecchio Scrooge pensa che sia sciocco sprecare tempo e denaro per festeggiare e si avvia verso la sua solitaria casa. Ma tutto può accadere nella notte più magica dell'anno...
Da Canto di Natale di Charles Dickens
L

Cumm'è bell'Natale
a sera d'a Virgilia è tutta n'allegria p'a nascit'e Gesù
A tavola apparicchiata, l'arber'allumminato.
'O presepio sta stutato pecchè a mezzanotte s'add'appiccià. Mammà int'a cucina prepar'e cose bone e
frie 'o capitone ca nun ce pò mancà!
" 'A casa è chin'e fummo!"
Allucca già papà "arape stu balcone ca nun se pò respirà!" O'nonno friddugliuso annanz'a nu vrasere
ch'e mmane dint'e mane se piglia tutt'o calore!
Natale è pruvverenza
ce penz' 'o Bambiniello
'o ricco e 'o puveriello a tutti fa campà !
Anonimo napoletano

Quando cielo e terra si accarezzano,
allegra una vena d’acqua sgorga
da fonte battesimale mi trascina
nel ruscello del tuo presepe.
Alla luce della tua stella
una leggera brezza
schiude gli occhi alla mia vita,
in tenera e dolce compagnia.
Nasce il BAMBINO.
Bambino
Il caldo amore familiare mi avvolge,
mi apre alla vita
fra odore di muschio
e profumo di abete,
mentre la casa si riempie
di sempre nuova meraviglia:
il presepe!
di stupita gioia:
l’albero!
Cresce il BAMBINO!
Giovane
L’atmosfera festosa e spensierata,
ricca di amicizie giovanili,
mi attrae intrigante alla vita
mentre riempie l’aria
di esultanza leggera e
di compiaciuta ingenuità.
Il BAMBINO mi accompagna!
Adulto
L’energia del feriale lavoro,
spesso provata e stanca
lungo la strada accidentata della vita,
fra nostalgia di gioie passate
e occasioni perdute,
si ravviva improvvisa e appassionata
di nuova speranza,
di nuovo amore,
di nuova passione
di rigenerata vita.
Il BAMBINO si fa grande!
Anziano
La minimalità raggiunta,
quasi inconscia e silente,
ricolma di soddisfazioni morali,
spogliata di orgoglio,
desacralizzata di ogni vacua forma sociale,
svuota il mio essere e mi trasforma
nella grotta del mio primo Natale
che si riempie
di inedita meraviglia,
di inedito stupore,
di più autentico amore.
E…. fa della vita
umile sapienza,
autentica poesia.
Rinasce il BAMBINO!
( 24-dicembre-2019 - compleanno del mio battesimo)

Cosa c’è nell’aria? Qualcosa che somiglia
a un sospetto, a una voglia
di festa, si accendono più luci,
si scambiano doni e sgorgano anche baci
di auguri.
Anche se i tempi sono duri
come duemila anni fa per i pastori
quando viene Dio come un bambino
si allarga il cuore, che grande mistero:
l’uomo vede il viso buono del suo destino.
È vero, il Natale è la festa più forte
Dio si fa uomo e sconfigge la morte.
Qui davanti sono uguali re e poveracci,
i vestiti di ori o con quattro stracci.
La festa che conta è la festa del cuore
gli occhi che brillano di fronte al presepe:
a Maria, a Giuseppe e a Gesù,
uomo e Dio dell’amore.
(Davide Rondoni, da “Le parole accese: poesie per bambini e non”)

Sdraiato
le lenzuola
stringono
tolgono
il fiato
Puntano
alla finestra
gli occhi
pieni di
insano
sonno
Muovono
sul vetro
lente
le nuvole
grigie
nella mente
i miei
pensieri
scivolano
Immagino
di sfuggire
ai tubi
ai fluidi
che medicine
infondono
Volare
libero
nell'aria
e alla
casa dei
miei sogni
poter tornare
Marval

Il pensiero da educatore e da cittadino che a me è venuto in mente riguarda i nostri giovani con i quali abbiamo e continuiamo a stare. La retata di Gratteri in Calabria ha messo in evidenza come il problema delle dipendenze sia enorme e come queste persone siano non solo dei malfattori da degli assassini che minano la vita di ragazzi che potrebbero essere un domani il nerbo della nostra Italia. Ho pensato alle poesie e alle canzoni di Fabrizio de André che da sempre si è occupato del mondo degli ultimi e che con il suono ne ha fatto una battaglia politico sociale. Il Cantico dei drogati di Fabrizio De Andrè è una canzone contenuta nell'Album Tutti morimmo a stento del 1968, il testo della canzone è ispirata alla poesia “Eroina” del poeta genovese Riccardo Mannerini (grande amico di Fabrizio).

La bambola di Natale
Questo non è un episodio tratto da un libro, è una storia vera che sta a testimoniare come talvolta, in qualche occasione, chi è stato figlio diventa il genitore dei suoi genitori.
La mia protagonista non ha avuto una vita facile. E’ nata nel 1914. Si può dire che ha vissuto due guerre mondiali. La sua era una famiglia numerosa, sette figli, come si usava all’inizio del secolo scorso. Poi sono arrivati i diritti, il tempo per se’, gli spazi di vita personali e le mamme, giusto o ingiusto che sia, vogliono “realizzarsi “ e i figli sono stati messi da parte. Non è una critica la mia , è una constatazione , anche se qualche paladino si risentirà ed urlerà alla reazione, anche se quello che sto per raccontare testimonia che avere molti figli significa anche sacrifici, stringere la cinghia e non garantire quello che forse sarebbe necessario per un bell’avvenire, un futuro diverso, più soddisfacente ? chi lo sa cosa è più soddisfacente , il calore di una famiglia o una bella laurea, una bella casa , un bell’avvenire ‘
La mia protagonista, che chiameremo Assunta, ha avuto a sua volta quattro figli, ha lavorato molto, in famiglia e fuori, lei che aveva fatto solo le scuole elementari ( ed ai suoi tempi era già molto ) ha fatto arrivare alla laurea i suoi quattro figli, una dirigente , una avvocato, uno ingegnere ed un medico. Una bella collocazione nella società.
La figlia avvocato è rimasta a vivere con i suoi genitori, a 88 anni il padre è morto, Assunta, 88 anni anche lei, ha sofferto per la morte del marito, compagno da 64 anni, ha continuato a vivere ma talvolta, cercava di ricostruire la sua famiglia dicendo alla figlia,
“oggi ha telefonato tuo padre, si ferma a cena da noi, prepariamo. “
“mamma, papà è morto”
“sì, lo so che è morto ma ha telefonato. “
e si preparava la cena.
E piano, piano è arrivato l’ultimo Natale di Assunta, quello dei suoi 90 anni. Nel corso di una passeggiata, Assunta si è fermata davanti ad un negozio di giocattoli, pieno di luci colorate, di automobili, gru, trenini e di …bambole. Ci sono bambole di tutti i tipi e c’è anche una bambola di non grande valore ma vestita da dama con tutti pizzi e merletti, con i capelli neri e ricci ed una grande rosa tra i capelli.
“vedi quella bambola”, dice Assunta alla figlia avvocato, quella che è rimasta a vivere con lei, Quanto mi sarebbe piaciuto avere una bambola così da bambina ma le nostre bambole erano spesso fatte di pezza e le bambole vere le guardavamo solo nelle vetrine, oppure le bambole erano i fratellini che dovevamo accudire.
“mamma la vuoi quella bambola? “
“e che sono una bambina? “
“cosa c’entra!”
“o forse quella bambola sono io? sono io che aspetto di andare al ballo, come Cenerentola, con i capelli neri e ricci come erano i miei “
“vieni mamma andiamo a casa?”
“si andiamo “.
Una volta a casa la figlia avvocato esce di nuovo e va a comprare la bambola.
La mattina del 25 dicembre Assunta si sveglia ed accanto a sè trova la bambola con il bel vestito tutto pizzi e merletti ed i capelli neri e ricci.
“e questa, come è arrivata qui?”
“Non lo so mamma, ma oggi è Natale, a Natale è tutto possibile, forse è venuto babbo Natale o Gesù Bambino a portare i doni “
“ma esiste babbo Natale? No! A te cosa ha portato? “
“mi ha portato molto, in primo luogo la gioia di dare”
“dare cosa? Ma è mia la bambola? “
“sì certo “
“che bella, ci posso giocare? anche se con tanti anni di ritardo “
Assunta accarezza la bambola, la culla, le pettina i capelli ricci e neri.
“Come faccio a ringraziare Babbo Natale, dove sta? “
“sta nel cuore di chi pensa a lui, di chi lo vuole ringraziare per i suoi doni”
“allora è anche nel mio cuore “
Per tutto il giorno di Natale Assunta sorride alla bambola e la sera sorride alla figlia , mette sul cuore la bambola , chiude gli occhi e sussurra: “ lo vedo Babbo Natale, vedo Gesù bambino con tante bambole e c’è anche tuo padre che li sta aiutando e guarda, guarda ci sono anche io da bambina con questa bambola bella “.
Assunta sorride ancora, apre gli occhi, poi li chiude di nuovo, per sempre.

Dispatia e manichini
L’uomo è un essere sociale; tuttavia la sua socialità, per essere piena e completa, deve esplicarsi secondo la regola dell’empatia, questo mettersi in totale comunione con il sentire dell’altro, in modo da comprenderne l’emozione è il vissuto. Empatia è riconoscere il volto dell’altro come simile a sè e dotato della medesima dignità. Socialità non è branco, non è caos, non è dominio; è, piuttosto, tenersi per mano.
Troppo spesso però la socialità e i rapporti con gli altri vengono intesi e impostati in maniera completamente dispatica, ossia senza alcun riconoscimento dell’altro, il volto non è più visto anche se guardato, la voce non è più ascoltata anche se udita. Non vi è più un vero rapporto tra persone, restano solo manichini sordi, ciechi e incombenti nel loro vuoto sociale e spirituale.

"Conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi", dice Giovanni nel suo Vangelo (8, 32).
Parlavo, giorni fa con un Egiziano che vive da anni in Italia, portatovi dall'amore per una nostra connazionale. Dopo aver toccato diversi temi inerenti alle nostre due culture e alle nostre religioni, siamo arrivati, non ricordo come, a parlare della guerra del Kippur. Più si dipanava la teoria dei ricordi di ciascuno, più si manifestavano discordanze, non sull'interpretazione socio-politica degli eventi, bensì su come essi si erano svolti.
Gli Egiziani festeggiano, ogni anno, il 6 ottobre la "vittoria" dell'Egitto su Israele nella Guerra dello Yom Kippur. Ma la storia ci dice che, già al terzo giorno di guerra, l'esercito israeliano aveva rintuzzato l'attacco improvviso su entrambi i fronti: quello siriano, riconquistando le alture del Golan, e quello egiziano, isolando le teste di ponte avversarie nel Sinai; dopo 23 giorni, aveva passato il canale di Suez a sud, aveva risalito l’Egitto ed era arrivato a un centinaio di chilometri dal Cairo. Intervenne l’O.N.U. e ottenne il cessate il fuoco.
Il mio interlocutore, persona intelligente, attenta e rispettosa, chiese di verificare su internet come si fossero svolti veramente i fatti e, quando conobbe la verità storica, ci scherzò su con una battuta: "mi hai tolto anche questa festa... ".
Un uomo di cultura islamica, fiero del suo essere Egiziano, ma non accecato dal fanatismo, dalla furia delle passioni. Evidentemente né la sua educazione famigliare, né quella scolastica, né quella sociale, avevano inoculato odio nelle sue vene. Certamente, anche il fatto di trovarsi in Italia, in un consesso di tutti Italiani e con un interlocutore diretto, anch’egli Italiano, avevano determinato in lui un atteggiamento prudente.
Resta, però, un fatto importante: quell’uomo era stato ingannato dalla propaganda del suo Paese e, per tutta la vita, era stato convinto che la verità storica fosse tutt’affatto diversa da quella documentata e conosciuta nei paesi “liberi”.
Non si tratta di un fenomeno esclusivo dell’Egitto né, tantomeno, dei paesi islamici.
Tutto il mondo comunista, per esempio, è stato ingannato per decenni dalla propaganda di chi tentava di mantenere il potere tenendo nascosta la realtà occidentale alla gente comune, facendo credere, anzi, che nei Paesi capitalisti si vivesse una vita “d’inferno”.
E la propaganda non ha certo risparmiato questi ultimi, alla cui popolazione è stato, a lungo, diffuso un sentimento di rigetto totale del mondo comunista, non limitando la valutazione all’ideologia, ma, inevitabilmente, anche a uomini e donne di quei Paesi.
La menzogna viene comunque usata per impedire alle persone “comuni” di conoscere la verità e di formarsi un’opinione propria sulla società in cui vivono e su quelle degli altri Paesi; sui loro governanti e su quelli degli altri Paesi; su chi detiene il potere economico in casa propria e nel mondo. Tutto dev’essere filtrato e deformato ad arte o nascosto del tutto.
La situazione più critica che si può riscontrare, però, è, a mio avviso, quella in cui si trovano a nascere, vivere e morire le persone che abitano i Paesi islamici più estremisti, quelli che accolgono i movimenti più fanatici e, tra questi, la Palestina, la striscia di Gaza in particolare.
Un inciso: sentivo recentemente, su Radio Radicale (cui va dato atto di assicurare la comunicazione, non filtrata, di uomini e donne che raccontano ciò che vivono in prima persona in tutto il mondo) la testimonianza, portata in ambito Parlamentare Italiano, di un’attivista di opposizione e di un avvocato Kazaki. Una delle cose che sottolineavano, oltre agli abusi di politici, giudici e poliziotti, è che in Kazakistan, paese Musulmano, si sta diffondendo una cultura fanatica con adesione alle frange più estremiste dell’Islamismo da parte di moltissime persone che il regime post-comunista ha ridotto in miseria. La preoccupazione, quindi, non è legata al diffondersi dell’Islamismo in sé, quanto al terreno di coltura su cui cresce il fanatismo che, proprio per le condizioni di estrema miseria, costituisce una possibile polveriera capace di esplodere da un momento all’altro.
Ma, tornando alla Palestina, ciò che avviene in quella terra depressa e derelitta, è molto simile a ciò che è stato testimoniato per il Kazakistan: le condizioni di vita sono veramente difficili per la povertà in cui la popolazione si trova a dover vivere. Eppure, è in atto un forte incremento demografico che porterà, in pochi lustri, ad avere il numero di abitanti quadruplicato.
A questo si aggiunge, e credo sia un tarlo micidiale che impedisce l’uscita dal tunnel, l’odio nei confronti di Israele, da una parte, e verso il mondo occidentale, dall’altra, in cui vivono i cittadini palestinesi; odio che viene inculcato fin da bambini, che viene respirato in ogni attimo di vita, che viene espresso a scuola, in televisione, nei libri…
Credo che sia giunto il momento, da parte di chi ha una coscienza capace di andare al di là del naso, di cominciare a fare appello agli uomini e alle donne liberi di tutto il mondo, ma soprattutto a quelli che vivono in quelle terre martoriate da guerre, stragi, martirii, di sollevarsi dalla “terra” che li sta, a poco a poco, soffocando. Un appello che si rivolga a ciò che di dignità riescono a conservare, alla consapevolezza che, chiunque di noi nascesse in Palestina sarebbe condizionato allo stesso modo, ma, parimenti, che qualunque Palestinese nato a New York, Roma, Tokyo, Parigi, avrebbe possibilità diverse. Alla consapevolezza che un Umberto Bossi che nascesse in Palestina sarebbe Musulmano e che un Abu Abbas nato a Milano, probabilmente si sarebbe laureato alla Bocconi.
Alla consapevolezza, insomma, che siamo noi, uomini e donne di Palestina e non, a dover prendere in mano il timone della nave Terra e non costituirne solo il vento o, al più, le vele. Perché la nave Terra è la nostra nave e dobbiamo scrollarci di dosso le menzogne, le falsità, le deformazioni che il “POTERE” utilizza per autoconservarsi. Dobbiamo noi, uomini e donne di Palestina e non, raccogliere l’odio che ci pervade e, con un semplice gesto, capovolgerlo e trasformarlo in amore. Non è poi così difficile: basta guardare negli occhi un uomo o una donna senza vederne il passaporto, senza cogliere il colore della pelle, senza ascoltare la preghiera che recita; guardarlo e, a poco a poco, penetrare il suo animo, leggere il suo vissuto, le sue sofferenze, le sue gioie, le sue fatiche, i suoi successi; capire che quello che si sta leggendo rappresenta una vita “eroica” di per sé, per il solo fatto di essere vissuta, che si sia svolta nelle ordinate vie di Vienna o nei tuguri delle Favelas di Rio, nello sfarzo di Beverly Hills o nella dignitosa povertà di Lasa. Ogni vita è, comunque, un sacrificio che l’uomo e la donna di Palestina e non, dedica, ma quasi mai ne è consapevole, all’intera Umanità.
Si tratta solo di riuscire a trovare l’attimo che ci consenta di guardarci e di vederci, di ricordarci di noi. La prima volta si tratterà di un attimo in un anno… la seconda di due attimi in un mese… poi, se saremo fortunati, potremo ricordarci di noi, guardarci e vederci, più volte al giorno e ci accorgeremo che la nostra essenza, l’essenza dell’uomo e della donna di Palestina e non, è l’essenza di chi è pronto a sollevare un anziano caduto, a sfamare un affamato, ad assistere un bisognoso, molto più facilmente che non colpire un nemico, tramare contro un avversario, ingannare un bambino…
Si tratta solo di agire e sentire come se ci incontrassimo per la prima volta e ogni traccia di passato fosse improvvisamente sparita; accadrebbe come accade a ogni persona, non turbata da sindromi paranoidee, quando ne incontra un’altra fino allora non conosciuta: si sarebbe spinti dalla curiosità di conoscersi a vicenda e… quante cose si scoprirebbero in comune, tra quelle che contano! Tutto il resto è inutile orpello.
Proviamoci uomini e donne di Palestina e non, proviamoci.

Queste le parole di mia figlia questa mattina. Mi fanno davvero riflettere sopratutto per quanto riguarda il modo che abbiamo di considerare gli eventi che spesso cambiano la nostra vita. Siamo infatti, ancora incredibilmente legati al passato, all'eredità storica e culturale convinti che per costruire il nuovo dobbiamo necessariamente prima distruggere il vecchio. Non è più così. In tempi remoti e anche recenti, ma lo facciamo ancora oggi, abbiamo sempre agito convinti che per costruire qualcosa di nuovo si dovesse prima distruggere quello che avevamo, in particolare, parlando di rapporti umani "vita mia morte tua". Di fronte all'ennesimo fallimento, sconfitta, delusione non possiamo più continuare a pensare di agire come abbiamo sempre fatto. Ci vuole un cambiamento di pensiero dalla mente al Cuore, dal corpo all'Anima, dalla paura all'Amore, come mi ha detto mia figlia che in un lampo mi ha detto:
Cuore, Anima, Amore
Dobbiamo cambiare il modo di pensare e per farlo bisogna iniziare a sentire la vita migliorando la conoscenza che abbiamo. Dobbiamo fare "tesoro" dell'esperienza. Fermarsi e fare il punto della situazione per capire che è possibile costruire il futuro (nuovo) solo se "lasciamo" andare il passato (vecchio). Lasciare andare il vecchio vuol dire come prima cosa sapere che non possiamo cambiarlo e che è del tutto inutile spendere le nostre energie per farlo. Non va più distrutto ma lasciato andare. Possiamo costruire il nuovo senza per questo dover distruggere il vecchio. Bensì ringraziarlo per ciò che ci ha dato perché se oggi siamo arrivati sino a dove siamo è grazie proprio a quello che abbiamo fatto. Tuttavia è ora di lasciarlo andare e di dedicare tutta la nostra energia a ciò che vogliamo davvero e, questa volta, farlo con il Cuore, l'Anima e l'Amore.

Mia nonna Rosa faceva un presepe che era da denuncia.
C'erano due pecore, due cammelli, di cui uno con tre zampe ( quindi un Re Magio e mezzo s'appar'a fari appedi ...) e il suo pezzo forte: 4 cavalli arancioni.
Ancora oggi ci chiediamo il perché di tutti ssi cavaddri ma soprattutto il perché di quella tonalità.
La risposta più accreditata, fu "ittero".
Avevamo gli unici cavalli con la 104 di Betlemme e dintorni.
Il pupino usato come bambinello era stato realizzato male.
Havia du occhi torti e una pennellata a mò di ciuffo che non rendeva onore al ruolo.
Io guardavo i bambinelli degli altri presepi e non mi capacitavo del perché il nostro fosse così sgummatu.
La risposta fu che era particolare.
Anche la pupina che usava come Madonna era un poco strana.
Assimigghiava vagamente a Mariangela Fantozzi
Aveva il mantello blu notte, il vestito color salmone e il velo bianco.
Tranne che stu pupiddru non l'avessero vestito Dolce e Gabbana, come l'Addolorata a Polizzi Generosa, a mia st'accoppiamento di colori, un po' perplessa mi ci lasciava...
Avà... tutte le altre statuine che usavano negli altri presepi avevano il vestito giusto, i capelli perfetti sotto il velo azzurro e soprattutto, lo sguardo amorevole.
Nel presepe di mia nonna Rosa, in definitiva, c'erano chiù armali ca cristiani e due piccole pecore normali con crisi di identità a getto continuo, perché uscire per fare il presepe e ritrovarsi dentro un ippodromo cu cavaddri dello stesso colore dei capelli di Sferaebbasta un minimo, ti prova...
Eppure mia nonna quel presepe l'ha fatto anche l'anno che morì suo marito; lo fece quando perse sua sorella e anche quando le diagnosticarono un melanoma che non lasciava grandi speranze.
Mia nonna Vincenza, il presepe, per evitare ca ci vinìa com'a chiddu di l'atra, pi sì e pi no, non lo faceva proprio.
Però decorava la casa con i festoni e si faceva portare dal nonno un piccolo alberello su cui appendeva palline e fiocchetti.
Era l'albero più sgummato del mondo.
Tuttu tortu, sciancato con i fiocchetti che cadevano a turno.
Io guardavo gli altri alberi e pensavo:
"Ma l'unico arbulu stanco della vita, giustu giustu a noi doveva capitare?"
Eppure mia nonna quell'albero l'ha fatto anche nel Dicembre del 1993.
Dopo due mesi un cancro al fegato se l'è portata via.
Perché ve lo racconto?
Perché so quanto sia difficile vivere questi giorni di felicità quasi "dovuta".
So quanta fatica ci sia, a volte, nel commisurarsi con un mondo che va in una direzione mentre tu sei dal lato opposto della gioia.
Però penso anche che le mie nonne, con i pochi mezzi che avevano, con i dolori che provavano, con le ferite che si portavano dietro, mi hanno sempre garantito il Natale.
Forse non l'hanno fatto per loro.
Forse lo hanno fatto per i nipoti, per le generazioni future.
Per i miei occhi e quelli di Irene e Chiara, di Laura ed Elisa.
Per il nostro senso della meraviglia e dello stupore; dell'incanto e della magia che sono i primi diritti di un bambino felice.
Forse, semplicemente, con la loro semplicità contadina, si sono assicurate che, al di là del loro essere adulti consapevoli di tutte le storture della vita, ci fossero nuove leve a cui assicurare delle luci colorate, la tradizione, un Babbo Natale che non delude mai e un bambinello con queste belle braccia aperte.
Ci riflettevo ieri pensando alle mie nonne che mi mancano sempre e in questi giorni di più.
Pensavo all'odore di pasta a forno che non ho più sentito dal Maggio del 2004 e al sorriso di nonna Vincenza, quello che mi si è tatuato addosso nell'ultimo giorno che l'ho vista ridere davvero.
Ci pensavo perché ho trovato un piccolo crocifisso rosso che avevo regalato a quest'ultima, nel Natale del 1993.
L'ultimo insieme.
All'epoca pensavo che sarebbe bastato Lui a toglierle di dosso il male che provava.
E lei mi disse: "Tienilo tu, gioia mia..."
E io penso che, forse, noi adulti un dovere ce l'abbiamo.
Forse dovremmo pensare a chi guarda il mondo da un a prospettiva più "piccola" e ha diritto di credere che i miracoli siano sempre possibili.
Forse, abbiamo il dovere di mettere da parte il nostro cinismo, la nostra disillusione, la nostra rabbia per assicurare ai bambini di crescere sapendo che la poesia è un'alternativa percorribile; che l'amore è una scelta consapevole; che la Vita è sempre più forte di tutto il resto e che esistono ricordi dove anche a 40 anni è possibile rifugiarsi ancora per sentirsi meno soli e anche più coccolati.
Ecco, io credo che dentro i loro decori imperfetti, le mie nonne mi abbiano consegnato splendide consapevolezze.
Hanno messo da parte i loro tormenti per la bambina che ero; per regalarmi la capacità di sognare e scrivere e di provare gioia pura, nonostante tutto.
Loro hanno difeso, per me, il Natale e, forse, è per questo che lo difendo così tanto anche io: perché questo mondo è troppo bello per consegnarlo a una generazione che cresce nello scetticismo, prima del tempo.
Oggi so che ogni 25 Dicembre, le mie nonne mi consegnavano un pezzo di meraviglia e mi dicevano:
"Tienilo tu, gioia mia..."
E allora, nel rispetto di ogni vostro sacrosanto e legittimo dolore, io spero che ognuno di voi abbia qualcuno a cui consegnare ancora un pezzo di felicità: un po' per dimostrarvi che la sofferenza non si è presa tutto di voi; un po' per continuare a seminare speranza e futuro a piene mani e un po' perché, forse, il senso più vero di questa ricorrenza è che possiamo essere imperfetti quanto vogliamo ma se facciamo squadra, resteremo comunque il più bel presepe possibile
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Sofia Moscato

Quando ti viene nostalgia non è mancanza. E' presenza di persone, luoghi, emozioni che tornano a trovarti.
Erri De Luca
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