© 2019. L'umanità riannoda i fili della conoscenza.
Lo scaffale di "Ri-genera il pensiero"
uno scaffale di libri da riempire
Amici, riempiamo insieme la libreria di "Ri-genera il pensiero" postando libri, vecchi e nuovi, libri scritti personalmente, libri amati, libri indimenticabili per suggerirli alla lettura e per segnalarli per un contributo condiviso. Inizio io pubblicando le mie recensioni.

sono il Presidente dell'associazione Ri-genera il pensiero e l'amministratore dell'omonimo gruppo Facebook insieme a mia moglie Laura Cialè. Sono uno studioso di tematiche filosofiche e sociopolitiche nonchè di saggistica e letteratura perciò vorrei raggiungervi tutti per conversare e confrontarmi, come spesso faccio durante le nostre rubriche in diretta streaming. Poiché sono un lettore seriale, in questa pagina desidero condividere alcune delle mie recensioni su alcuni dei libri letti e anche suggeriti da voi stessi sulla pagina di Ri-genera il pensiero.

© ( Recensioni con riproduzione riservata)
“Più la guerra si aggrava, più la pace è difficile e più è urgente.
Evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente.”
Con questo richiamo ed esortazione Edgar Morin conclude il suo ultimo lavoro
“DI GUERRA IN GUERRA – DAL 1940 ALL’UCRAINA INVASA”.
A 101 anni Morin continua a far sentire la sua voce, carica di autorevolezza intellettuale
e morale e di esperienza vissuta e sofferta. Riflette con la vitalità critica della sua alta sensibilità culturale, epistemologica, sociale, politica, e storica, sulla complessità e drammaticità del momento storico di guerra a cui assistiamo e che viviamo.
La sua riflessione critica, autocritica e costruttiva, è connotata da una persistente attenzione sinergica, sincronica e diacronica, alla complessità delle molteplici, contemporanee e diverse crisi della realtà attuale, compresa quella della guerra ucraina.
E’ nella “crisi del pensiero” che individua il costante epicentro di tutte le crisi.
Anche in questa crisi bellica, il pensiero è incapace di immaginare e costruire la “via” della pace. Un pensiero lineare e unilaterale, infatti, rende impossibile ogni soluzione ai problemi complessi, come quelli che oggi si profilano in un orizzonte sempre più interconnesso, multipolare e planetario.
L’urgenza di un’educazione al pensiero complesso è, infatti, costante preoccupazione di Morin, perché si possa essere in grado di leggere in modo appropriato ognuna e tutte le crisi prodotte dai cambiamenti e dalle mutazioni ecologiche, antropologiche, scientifiche, sociali, economiche e politiche della nostra contemporaneità e vi si possa intervenire responsabilmente e con appropriata e giusta efficacia. Urgenza che oggi manifesta soprattutto, sulla pace.
Tale preoccupazione al pensiero complesso si sviluppa e si individua, già nei suoi scritti epistemologici, pedagogico-educativi, e filosofici, soprattutto in quelli relativi a “Il Metodo …” (Raffaele Cortina Editore 2012 – 6 voll.) e in quello strategico-metodologico di “La Via – Per l’avvenire dell’umanità” (Raffaele Cortina Editore 2012). Preoccupazione ancor più accresciuta dalle crisi manifeste e latenti nell’attualità di questo ultimo triennio, in questi anni contrassegnati da un incremento inedito di criticità della condizione umana: dalla pandemia alla guerra ucraina. In continuità e coerenza con il suo pensiero, Morin non ha voluto, infatti, nonostante l’età, far mancare la sua voce e l’acutezza delle sue riflessioni richiamando la gravità di un processo di disumanizzazione e di crisi del pensiero.
Con “Cambiamo strada – Le 15 lezioni del coronavirus (Raffaele Cortina Editore 2020) esorta a cambiare direzione per una politica della nazione, di civiltà e dell’umanità, proprio per accettare le sfide, poste in essere dallo stato di crisi, per un umanesimo da rigenerare.
Con “Svegliamoci!”, (ed. Mimesis 2022) prospetta i modi per ritrovare la bussola necessaria per riorientarci e non disperderci nella crisi del pensiero e affondare nelle sabbie mobili dell’incertezza, e per scorgere un nuovo orizzonte antropologico e tornare così a umanizzare la “nostra terra”.
Con “Di guerra in guerra – Dal 1940 all’Ucraina invasa”, infine, propugna l’urgenza della pace. Un’urgenza necessaria nella pericolosa drammatica congiuntura della guerra in Ucraina, la cui parabola di pericolo, su piano locale che planetario, cresce in modo esponenziale e imprevedibile in uno stato di sorprendente “poca coscienza … nell’immaginare e nel promuovere una politica di pace”.
Morin riflette sulla tragedia della guerra che accompagna la ferocia che “da guerra in guerra” emerge a sempre per ferire il cuore, e avvelenare l’animo dell’Europa e annebbiando la visione di ogni vera trascendenza di pace. Ogni crisi bellica, infatti, rinnova e reitera distruzione di città, sventramento di strutture e edifici, morte anonime di vite di militari e civili, di adulti e bambini, fuga di profughi e di rifugiati senza speranza, torture e criminalizzazioni di guerra, povertà e emarginazioni. Costanti che costituiscono la cifra delle atrocità e delle barbarie delle guerre degli ultimi cento anni.
Come testimone diretto e critico, in questo suo ultimo lavoro, infatti, Morin richiama alla mente tutte le caratteristiche delle guerre del XX^ secolo. Quelle che, ancor oggi, riappaiono nella guerra Ucraina: l’isteria della guerra, la “spionite”, la criminalizzazione del nemico, la radicalizzazione dei conflitti, le sorprese inattese, gli errori e le illusioni dei governanti, le de-contestualizzazioni storiche e le dialettiche fra belligeranti resi sordi da un pensiero lineare semplificato di una ragione rozza, unilaterale, rivendicativa e giustificativa della forza e della guerra, abbrutita nella incapacità di ascolto e di dialogo. In una parola di pace.
Di fronte, così, all’allarmante intensificazione di distruzioni e morti, alla distopica ferocia bellica affidata a sempre più raffinate strategie e sofisticate tecnologie militari e alla minaccia provocatoria di paradossale distruzione-autodistruzione umana, nel gioco muscolare del braccio di ferro atomico, Morin evidenzia l’urgenza di agire per una pace reale. Accompagna così il suo ragionamento, con linee di possibilità di pace concreta, che superando la logica lineare di aggressore-aggredito, sostengano, in un quadro certamente complesso, comprensione proattiva e rispetto reciproco delle parti coinvolte e interessate, e che favorisca, nella complessità geopolitica, quella capacità di legare più che di dividere: capacità di relianza - neologismo moriniano che esprime insieme l’esigenza di relier (collegare, legare) e alliance (alleanza) - piuttosto che della sofferta resilienza di parte ed esclusiva del vinto.
Una pace, pertanto, impellente per generare un reale processo di pacificazione.
“L’urgenza è grande” – sottolinea Morin - perché “questa guerra provoca una crisi considerevole che aggrava e aggraverà tutte e le altre enormi crisi del secolo subite dall’umanità, come la crisi ecologica, la crisi economica, la crisi di civiltà, la crisi di pensiero. Che a loro volta aggravano e aggraveranno la crisi e i mali nati da questa guerra.” (p.103)
Un libro essenziale di importante attualità, destinato a ogni uomo, cittadino comune e responsabile della propria Patria e della propria comune Patria-Terra.
Buona lettura! Per sostenere una vera pace nella complessità della nostra attuale condizione umana.



TRECCANI, oltre a essere brand di prestigio, che riceve i tanti apprezzamenti per le note pubblicazioni, è l’importante Istituzione generatrice di cultura e di cultura italiana. Oggi, con la sua editoria è impegnata a pubblicare, fra enciclopedie, dizionari, edizioni pregiate di opere d’arte e classici, anche collane di libri di studio e ricerche quanto mai attuali per la crescita di un sano pensiero critico, aperto al futuro.
Parlo, in particolare, della Collana “Visioni”. Una collana che – come recita la sua stessa presentazione – “*è un laboratorio sui bisogni della contemporaneità e sui cambiamenti sociali, tecnologici e politici in atto. Uno sguardo sull’oggi e sull’immediato futuro che non dimentica il valore della storia e che si fonda su una relazione feconda e virtuosa tra le discipline*.”
Il libro odierno che indico per la nostra biblioteca virtuale di Ri-genera il pensiero, e da cui traggo le citazioni che l’accompagnano, fa parte proprio di questa collana, che è insieme a tanti altri titoli, interessante proprio per pensare e non per fantasticare sul prossimo futuro.
Citazioni e spunti dal libro:
… La catastrofe, come la dinamica che la guida, è quindi morale prima di essere fìsica. … - recita la prefazione al libro di Dominique Bourg filosofo dell’Università di Losanna - … da qui l’importanza di questo
libro di Pablo Servigne, Raphael Stevens e Gauthier Chapelle. …
Non è un trattato di collassologia, è un trattato di collassosofia. Infatti, il suo scopo non è quello di convincerci di un probabile collasso – esercizio del resto già completato- ma di prepararci intimamente ad affrontarlo e, in un certo senso, a superarlo, preparando sin d’ora il futuro, il mondo che, tra l’altro, dovrà essere ricostruito su nuovi principi. …
… Stop! Smettiamola di scivolare verso il baratro di questa modernità deleteria. Opponiamole la nostra interiorità le nostre emozioni e passioni, i nostri figli, i nostri amici, le nostre reti, la nostra intelligenza e la nostra creatività. Impariamo di nuovo ad abbracciare i meandri della realtà o meglio delle realtà. Impariamo ancora una volta che il nostro mondo è più di quello che possiamo dominare, anche in modo indiretto, e anche semplicemente capire.
Ricarichiamo le batterie con le saggezze del mondo, senza imitarle, senza aver paura di inventare.Eleviamo le spiritualità che ci consentiranno di rimanere in piedi durante la prossima tempesta e ricostruire una casa comune e aperta.
Fin qui la conclusione della prefazione, confermata dalle parole degli autori.
… Questo non significa – affermano infatti - che consideriamo la ragione un nemico (al contrario, è necessaria), ma crediamo che per intraprendere una svolta (o una discesa in preparazione all’atterraggio) dobbiamo essere in grado di affermare e supporre che abbiamo bisogno anche di una vita spirituale, etica, artistica ed emotiva molto più ricca.
Quello che abbiamo chiamato collassosofia arriva a supportare la collassologia e semplicemente ci aiuta a non perdere la testa.
La proposta di questo libro è di dare al contempo altrettanta importanza a ciò che accade all’esterno (materiale e politico) e al percorso Interiore (spirituale). La collassologia è appassionante e utile in
entrambi i sensi, ma è zoppa e cieca se non è accompagnata da compassione e saggezza.
In altre parole, «La scienza senza anima non è che la coscienza delle rovine», per giocare con la famosa
frase di Rabelais.

Magatti M., Cambio di paradigma – uscire dalla crisi pensando al futuro – Feltrinelli 2017
Dalle crisi non si esce, rimanendo fermi nel perseverare in un presente immobile, bloccati dall’angoscia e dalla frustrazione, o persi nella estenuante riproposizione di modelli e soluzioni già sperimentate che, peraltro, il più delle volte ne stanno all’origine. Ogni crisi rappresenta un punto dinamico di evoluzione dell’umanità, singola o collettiva, fra una memoria del passato, un presente critico e un futuro possibile fra una pluralità di scelte possibili. Trascendere le crisi, superare i limiti è carattere antropologico proprio della potenza umana di viaggiare e scoprire il futuro e dopo ogni tempesta e naufragio, se possibile, riparare strutture e vele della nave dell’umanità, o cambiare del tutto con una nuova nave, più moderna, tecnologicamente più avanzata, più sicura, funzionale e adeguata a riprendere il largo.
Questo è già avvenuto nella storia delle grandi crisi economiche mondiali che abbiamo alle spalle dal XIX al XX secolo. Questo sta avvenendo, che lo si voglia vedere o meno, anche per la nostra attuale cronicizzata crisi economico-finanziaria. Il vuoto aperto dalla crisi del 2008 richiede nuova immaginazione, rinnovata sapienza e saggezza per riempire un futuro, anche economico, di prospettive, di orizzonti e dimensioni nuove; di nuovi modi di pensare, organizzare e vivere la vita in forme sempre più coerenti e sostenibili con la dignità umana e del creato.
Il libro sulla scrivania di oggi ha proprio questo pregio. Riaprire alla speranza della capacità di ridisegnare il futuro in una cornice nuova per “uscire dalla crisi pensando al futuro”. Questo ci prospetta il libro di Mauro Magatti “Cambio di paradigma”, convinto com’è che ancora è possibile riconquistare il futuro, mutando le regole, appunto, su un nuovo paradigma. La crisi allora rappresenta una grande occasione, basta scoprirne e mantenerne la giusta direzione antropologica, dove l’economia possa rilegarsi alla natura, alla cultura, alla politica, alla società per riscrivere nuove regole “per tenere insieme prosperità e democrazia” e sostituirle a quelle di una globalizzazione selvaggia, di un mercato privo di regole, e di una politica degenerante in populismi e nazionalismi.
L’autore ci guida, in un itinerario storico e proiettivo lungo i paradigmi che hanno caratterizzato e rappresentano il palcoscenico economico dell’umanità, da quello fordista-welfartista (1945-1968-1973) a quello finanziario-consumerista (1979-1989-2008) fino a farci scorgere un possibile e credibile scenario partecipato da nuovi attori consumatori e di nuovi beni, rappresentato e qualificato,appunto, da un nuovo paradigma, quello dello scambio sostenibile-contributivo.
Per di più, l’autore riconosce al nostro Paese, una grande occasione, proprio perché paese più provato dalla crisi. “l’Italia, infatti, ha tutte le qualità per essere il luogo ideale per aprire il cantiere di questo nuovo paradigma…per raggiungere mete strutturalmente e culturalmente al di fuori della portata della stagione storica alle nostre spalle.”(pp 151-152), avvertendoci che “Il treno della storia sta passando davanti ai nostri occhi. Proviamo a non perderlo”.
Libro attuale, essenziale, puntuale, concreto. L’autorevolezza dell’autore, non solo traspare dalla precisione scientifica dell’argomentare, ma ancor di più, per proporsi in una scrittura per una lettura alla portata della comprensione di tutti, nel linguaggio concreto dell’uomo comune.

Roberto Caria, Cena a Betania, metis academic press, 2020
In un clima complesso di trasformazione culturale e sociale, come quello attuale a forte polarità economica e tecnologica, risulta difficile, se non arduo, orientarsi nei processi di veloce cambiamento. Diventa, infatti, esigenza profonda dell’uomo di oggi potersi soffermare in un’oasi di appropriata riflessione, in spazi resilienti di lettura della realtà, di serena e sana conversazione, di confronto di pensieri e di amichevole scambio e maturazione di idee. Il cittadino comune fa fatica a metabolizzare il pasto quotidiano delle informazioni convulse e concitate rilasciate a getto continuo, consumato sempre nella fretta e nella furia di un clima di crisi, di destabilizzazione, di stress e di cambiamenti che costringono a procedere senza sosta e senza riposo alcuno. Fra bulimia e anoressia del sapere e del pensare ci si trova nella difficoltà di riorientarsi criticamente e a scegliere la strada giusta e appropriata da seguire nei crocicchi cruciali della vita propria e comunitaria.
Roberto Caria sembra invitarci a fare una pausa, a prenderci il tempo di una cena. Fare “Cena a Betania” per gustare un menù completo di piatti filosofici, sociali, economici e spirituali; per assaggiare e assaporare sapori nuovi e recuperare sapori antichi e insieme quei nutrienti di umanizzazione, necessari per affrontare con più serenità i cammini impervi e inediti del progresso fra le emergenze e le crisi del nostro tempo. La “Cena a Betania” non è una guida di arte gastronomica. È la metafora della buona, antica e nuova convivialità propria della autentica amicizia. Quel profondo stato di comunione culturale e vitale, che si sprigiona nell’affiatamento dello spirito umano e che consente ai convitati di condividere pasti, assaporarne cibi e vini e liberamente conversare, ragionare in uno scambio di vedute e opinioni, capace di stimolare e costruire pensiero.
Il libro, è l’incontro amicale fra l’autore e il lettore per la consumazione di un comune menù narrativo. Un menù dialogico, fecondo di interesse e possibilità di speranze. Nella libertà dei gusti, oltre che per la piacevolezza della ragione, esso diventa nutrimento dell’intelligenza e ristoro dell’anima. E, come sempre accade nei convivi, si discute sui fatti e sulle cause che li determinano. Ci si confronta su posizioni anche critiche, sui timori e le contraddizioni del presente che, nello spirito della sincera convivialità, trovano il naturale buon senso di una ricomposizione a misura d’uomo. Fra amici ci si raffronta fra pragmaticità della vita e necessità della sua umanizzazione. Filosofia, sociologia, economia, etica, diritto, teologia, sono colte nella freschezza della crucialità attuale del nostro tempo e costituiscono i componenti delle portate che attivano, nella vivacità genuina delle combinazioni dei piatti, la curiosità del palato etico, e l’apprezzamento del gusto e del giudizio della mente.
Il libro, infatti, informa, confronta, specifica, correla, nella essenziale pienezza delle “portate” previste dal menù, (le parti e i capitoli del libro): questioni, fatti e fenomeni, teorie e sviluppi che interrogano la nostra attualità esistenziale, culturale e spirituale, sociale ed economica, in un momento di vera e propria crisi, cruciale e travolgente, di mutazione, compressione e ri-conversione di paradigmi umani nell’individuo e nella collettività, nella persona e nella comunità.
La “Cena a Betania” nel suo stile di profonda amicizia teologico-conviviale, diventa così l’occasione per assaporare contenuti non più riservati alla ricerca accademica ed elitaria, ma, per ricaduta diretta nella vita quotidiana di tutti, e per l’universalità del coinvolgimento, necessari su cui riflettere nell’attuale processo che viene muovendosi fra istanza di efficientismo pragmatico a tratti disumanizzanti e istanza di nuova umanizzazione e di giustizia sociale per rigenerare nell’individuo e nella società valori di equità, di amore, di verità, di libertà che soli riempiono la vita di senso, di fiducia e di speranza.

MONARCHIA
Mi trovo in una discussione su Dante e chiedo a un amico:
- Dante è’ attuale? Il suo pensiero e le sue opere possono dirci qualcosa di valido e di utile anche per la politica di oggi?
L’ amico risponde:
- Come fa ad essere attuale uno che ha scritto un libro sulla “Monarchia”? Non può che essere un antiquato conservatore! E’ uomo del passato, grande per la fama della Divina Commedia e buono solo per sue le ricorrenze! Buono per Il nostro orgoglio italico; né più né meno, anzi meno, dei mondiali di calcio. Attualizzato sì! ma non attuale. Interessante per i tantissimi esperti e para-esperti che ne parlano e ne scrivono e per il marketing che ne consegue.
Lui era un monarchico. Come fa un monarchico a essere attuale? Via! Non c’è spazio per le nostre nostalgie da italici provincialotti nell’era del globalismo economico e tecnologico. E’ da un pezzo che la monarchia è finita e, dove è rimasta, è solo un’istituzione museale. Che vuoi che ci possa dire di libertà dell’individuo, di politica, di diritto e di costituzione un uomo del medioevo, pur famoso. …
Controbatto:
- Ma hai letto il suo libro sulla “Monarchia”?
Risposta:
- No! E non perdo il mio tempo a leggerlo nell’era frenetica del marketing diffuso e della libera creatività. Roba da Medio Evo!
Eppure, la domanda continua a interrogarmi, mentre la risposta mi risuona più come pregiudizio, frutto di moda relativizzante e semplificatoria e soprattutto di analfabetismo culturale per cattiva e limitata educazione critico letteraria, anche scolastica.
Epurato del contesto storico, socio culturale e istituzionale del tempo, quello che gli esperti direbbero della weltanschauung medioevale, può veramente essere ritenuto inattuale e antimoderno il pensiero di Dante che afferma che:
“… in un regime politico obliquo [perverso] l’uomo buono è un cattivo cittadino, mentre sotto un retto governo l’uomo buono ed il buon cittadino coincidono. E questi retti governi perseguono la libertà, cioè che gli uomini vivano in vista di se stessi. I cittadini infatti non sono tali per i consoli, né la nazione per il re, ma al contrario, i consoli sono tali per i cittadini e il re per la nazione; perché come la costituzione politica non è stabilita per le leggi, ma al contrario le leggi sono stabilite per la costituzione politica, così coloro che vivono secondo la legge non vivono in ordine al legislatore, ma piuttosto questi a quelli, … , Di qui risulta anche che, benché il console o il re rispetto ai mezzi siano signori degli altri, rispetto ai fini invece ministri degli altri, e più di chiunque altro il Monarca, che senza dubbio alcuno deve essere considerato il ministro di tutti. ...” (Dante, Monarchia I XII, 10-12)
Riflettiamoci.
Soprattutto se confrontato con il principio moderno de "il fine giustifica i mezzi" secondo il quale qualsiasi azione del Principe sarebbe giustificata, anche se in contrasto con le leggi della morale.
A tutti noi la risposta.

Citazione
Dal discorso del premio Nobel per la letteratura Mario Vegas Llosa. Stoccolma 7 – dicembre – 2010
"La buona letteratura tende ponti tra persone diverse e, dandoci piacere, facendoci soffrire e sorprendendoci, ci unisce al di là delle lingue, del credo, degli usi, dei costumi e dei pregiudizi che invece ci separano. Quando la grande balena bianca affonda in mare il capitano Achab, il cuore dei lettori freme tanto a Tokyo, quanto a Lima o a Timbuctú. Quando Emma Bovary beve l’arsenico, quando Anna Karenina si butta sotto il treno o quando Julien Sorel sale sul patibolo, e quando, in El Sur, l’urbano dottor Juan Dahlmann esce da quella bottega nella pampa per sfidare all’arma bianca un bullo, o quando ci rendiamo conto che tutti gli abitanti di Comala, il villaggio di Pedro Páramo, sono morti, lo sconvolgimento è simile tanto per il lettore che adora Buddha quanto per quelli che credono in Confucio, nel Cristo o in Allah o per un agnostico, in giacca e cravatta, o con la gellaba, il kimono o i pantaloni da gaucho. La letteratura crea una sorta di fratellanza all’interno della diversità umana ed eclissa
le frontiere erette tra gli uomini e le donne dall’ignoranza, le ideologie, le religioni, le lingue e la stupidità."

Nel passatempo salutare obbligato ho il tempo di riprendere i classici fondanti la nostra cultura e, nel mito, la nostra storia. Iliade, Odissea, Eneide, Divina Commedia…. .gioia e dolori per noi un tempo studenti. Che meraviglia trovare un tempo, sempre sperato e mai trovato, di rileggere con mente matura i nostri classici.
Oggi è toccato al libro II dell’ENEIDE.
Alcuni passi virgiliani importanti per il futuro Occidente
Il popolo troiano
Perciò tutta la Teucria si scioglie dal lungo lutto;
si apron le porte, piace andare e vedere il campo dorico
ed i luoghi deserti e il lido abbandonato:
qui la schiera dei Dolopi, qui s'accampava il crudele Achille;
qui il posto per le flotte, qui solevan combattere in schiera.
Parte stupisce ed ammirano il micidiale dono della vergine
Minerva e la mole del cavallo; e Timete per primo consiglia
che si guidato entro le mura e collocato sulla rocca,
o per frode o già così dicevano i fati di Troia.
Ma Capi, e queli cui (era) migliore il parere nella mente,
consiglian o di precipitare in mare le insidie dei Danai ed i doni
sospetti e bruciare con fiamme accostate,
o trapassare ed esplorare i cavi nascondigli del ventre.
Il volgo si spacca incerto in decisioni contrarie.
Laocoonte
«Per primo accorre, davanti a tutti, dall’alto della rocca Laocoonte adirato, seguito da una grande turba; e di lungi: “Sciagurati cittadini, quale così grande follia? Credete partiti i nemici? O stimate alcun dono dei Danai privo d’inganni? Così conoscete Ulisse? O chiusi in questo legno si tengono nascosti Achei, o questa macchina è fabbricata a danno delle nostre mura, per spiare le case e sorprendere dal alto la città, o cela un’altra insidia: Troiani, non credete al cavallo. Di qualunque cosa si tratti, ho timore dei Danai anche se recano doni.»
IL GRECO SINONE
Ecco frattanto i pastori dardani di trascinavano, legato le mani
alla schiena, un giovane davanti al re con gran chiasso, che s'era offerto sconosciuto volontariamente a loro che passavano, per ordir proprio questo e aprir Troia agli Achei,
sicuro di spirito e preparato ad entrambi i casi,
sia a tentare gli imbrogli sia ad affrontare morte sicura.

Antonio Pileggi,Il filo delle libertà, Rubettino editore, 2021
Esce in coincidenza del 25 aprile, festa della Liberazione, l’istant book di Antonio Pileggi: “Il filo della libertà”. Libro istantaneo quale prezioso richiamo alla centralità fondante della libertà per la nostra Repubblica e alla crucialità che questa riveste per la convivenza democratica nell’attuale complessità di messa alla prova, anche pandemica.
Essenzialità e focalizzazione sono le qualità che consentono al pensiero di affrontare questioni complesse e vitali. E, cosa c’è oggi, infatti, di più complesso e vitale della libertà? Cosa c’è di più urgente, da affrontare con dinamica sapienza e repentina saggezza, se non la libertà davanti all’analfabetismo e all’imbarbarimento etico delle responsabilità nelle relazioni della convivenza democratica, dinanzi alla crisi delle relazioni educative nella società e nella scuola, dinanzi alla mutazione dei partiti che compromette l’efficienza e l’efficacia democratica della politica stessa, davanti alle confuse reazioni fra laicità dello Stato e libertà di religione e fede?
L’urgenza di una risposta pertinente alla gravità della questione è ormai avvertita in modo generalizzato e diffuso. La metafora, che sovviene più immediata, di una libertà in situazione di stallo è quella di un millepiedi dalle zampe, indipendenti, scoordinate e sempre più intrecciate fra loro, che la bloccano su se stessa in uno “gnommero” concatenato di inestricabili e contrastanti nodi e che la costringono in una inevitabile e autoreferenziale stasi di permanente sofferenza sociale. Pandemia, crisi economica, crisi politica, destrutturazione scolastica, solo per citare, sono i nodi cruciali di una crisi istituzionale e morale della libertà e delle libertà. Nell’ individualismo estremo in cui siamo caduti e assoggettati, chiusi in una relazione sempre più apparente di una virtualità sociale a 5G, ogni voce di espertocrazia propria di una comunicazione post-moderna e neo-feudale, appare fuori luogo e indifferente al problema. L’uomo comune, il cittadino, oggi ha bisogno di capire e comprendere velocemente, fuori dalle riduzioni populistiche o dalle ridondanze ideologiche, il problema cruciale della libertà, di quella libertà plurale di libertà per cui i padri fondatori della nostra Repubblica hanno vergato non solo con l’inchiostro, ma anche col sangue della Resistenza, la Carta Costituzionale della nostra democrazia e delle nostre stesse libertà.
Antonio Pileggi, con il suo stile chiaro, preciso e sostanziale che lo contraddistingue, dona al lettore questo “instant book” la cui efficace essenzialità è già ben rappresentata in copertina da “Il filo della libertà”. Sì, perché l’autore non taglia l’attuale groviglio gordiano della libertà, ma ne scioglie i nodi, ne ritende il filo, prendendone i bandoli, avendo cura di non spezzarlo, anzi di rafforzarlo con la chiarezza espositiva nella consapevolezza della fragilità che l’usura dissennata di libertà ha portato con sé. Il “Il filo della libertà” si snoda dentro il complesso e sempre attuale problema delle relazioni umane nella convivenza sociale, comunitaria e democratica. Il ragionamento si srotola, come filo d’Arianna nel labirinto della democrazia. E’, infatti, nell’intreccio delle responsabilità tra politica e potere, che l’Autore conduce la riflessione in ordine alla libertà d’insegnamento, che altro non è che libertà di apprendimento, colta peraltro nell’attuale emergenza educativa di una scuola travolta dalla piena pandemica; in ordine al rapporto fra potere temporale e potere religioso a tutela delle distinte libertà di laicità e di spiritualità; in ordine alla necessità di una rinnovata funzione dei partiti per una liberale democratica partecipazione civica al miglioramento, allo sviluppo generale e, pertanto anche personale, in un sistema di rinnovate relazioni di etica pubblica.
Un libro da leggere per comprendere la responsabilità sostanziale della libertà nell’esercizio civico, di tutti e ciascuno, delle e nelle libertà. Un libro utile non solo per la riflessione adulta ma anche per lo studio per la formazione civica del cittadino di ogni età.

Il libro rappresenta una esperienza culturale di lettura e riflessione che, come è giusto che sia ogni lettura che non voglia essere semplice passatempo, aiuta a pensare. A prendere coscienza che la storia ambientale costituisce dimensione importante per la nostra generazione. Ci appartiene e ci coinvolge direttamente. Una storia, dove passato, presente e futuro sono strettamente e dinamicamente connessi in modo straordinario e drammatico. E’ la storia dell’Antropocene. Una storia breve. La storia-fotografia di una accelerazione, anomala ed eccezionale, dell’evoluzione dell’umanità e del pianeta. Un processo singolare, esponenziale e intenso, mai registrato prima. Una mutazione avvenuta sulla Terra con ricadute rilevanti sull’umanità intera e in un brevissimo intervallo temporale.
In solo sette decenni, nell’attuale periodo geologico dell’ultima glaciazione, siamo andati ben oltre l’epoca olocenica. L’Olocene, infatti, Il tempo lungo di ben 11.700 anni, comprensivo di quasi tutta la storia dell’evoluzione del genere umano dalla preistoria fino alla metà del secolo scorso, ha lasciato il posto all’Antropocene. Il 1945 è la data da cui gli studiosi fanno formalmente partire l’epoca della “grande accelerazione” antropocenica, quella del dominio completo dell’uomo sulla natura. Evoluzione e sviluppo esponenziali, inimmaginabili in un tempo brevissimo di appena 75 anni. Un passaggio inebriante e drammatico per entità e capovolgimento sistemico. Un periodo eccitante e euforico, esaltato e sorretto dal paradigma esistenziale ed economico dell’egoismo materialista. Un periodo impensabile per tutte le generazioni che ci hanno preceduto ma, fragile e pieno di insidie per un uomo ancora infantile e immaturo rispetto a un futuro tutto ancora da scrivere. Un futuro che richiede nuove basi paradigmatiche per la maturazione di una piena responsabilità ecologica verso l’intero sistema Terra e per lo stesso sistema Uomo.
L’Antropocene, quel periodo che in termini geologici e biologici, come afferma Crutzen (2000) [citato dagli autori del libro], “ha preso forma nel momento in cui le azioni umane hanno posto in secondo piano la silenziosa persistenza dei microbi e le interminabili rotazioni ed eccentricità orbitali della Terra, interferendo con i suoi sistemi fondamentali”.
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Il libro si rivela, così, una messa a fuoco, inclusiva e globale, della storia ambientale di questi ultimi 70 anni. Una storia-fotografia dell’interazione uomo-natura sugli effetti prodotti e sulle drammatiche ricadute sull’ecosistema con le loro incisive trasformazioni. Una storia aperta, come trend storico di sviluppo, di opportunità e possibilità, implicite ed esplicite, di rigenerazione di nuove responsabilità per un rinnovato equilibrio biologico-ambientale.
L’inevitabile complessità della attuale accelerazione antropocenica, ne impone e richiede una conoscenza completa; un approccio multiforme e sinergico tramite una visione trasparente e oggettiva dei fenomeni prodotti da un passato remoto e recente; una lettura reale delle difficoltà della situazione umana e ambientale, colte all’incrocio delle loro dinamiche e interazioni storiche; un coraggio intellettuale, critico e sistemico, capace di guardare il futuro non solo nei rischi ma anche, e da subito, nelle opportunità di rinascita.
Il libro consente col suo realismo essenziale, di rendersi consapevoli della drammaticità degli effetti negativi prodotti dal virus di un progresso in di crescita infinita e onnipotente, che ha colpito pesantemente l’umanità e la terra durante una sola generazione: la nostra.
Oggi l’uomo, a vent’anni dall’inizio del nuovo millennio, per sfrenata, incosciente, infantile e irrefrenabile volitività di crescita e di consumo illimitati, ha determinato modificazioni complesse, , all’estremo della sopportabilità immunitaria e della resilienza della natura. Il pianeta, l’organizzazione sociale, l’uomo stesso mostrano infatti gravi segni di insostenibilità, a tratti così marcati da costituire vere e proprie “ferite” non rimarginabili.
A dirlo, non sono solo i predittivi rapporti scientifici che, per loro natura, non sempre sono alla portata di una conoscenza generale e popolare. C’è ormai una percezione diffusa, comune e globalizzata sulla drammaticità della situazione per le sempre più gravi, violente, a volte distruttive e tragiche conseguenze generate da fenomeni climatici indotti dall’abuso dell’azione umana. C’è un senso generalizzato di delusione e sfiducia nella forza dell’economia di sostenere la cura della casa comune e dei bisogni dell’umanità che la abita, soprattutto, per la crisi endemica e strisciante che si è instaurata dopo il crollo economico del 2008 con i suoi effetti di contagio globale.
Lungo la durata di una sola generazione, la nostra, si è spettatori e attori di una manifestazione storica, antropologica e ambientale, straordinaria e inedita. Una realtà mai vissuta prima, dalla comparsa dell’uomo sulla terra.
Il libro introduce a visitare gli snodi critici e vitali che caratterizzano l’Antropocene di questo suo primo periodo, offrendo dati e riferimenti scientifici inequivocabili sulla estrema gravità che ne accompagna la mutazione. In particolare sono rilevati nei rapporti fra sviluppo del consumo energetico ed esplosione demografica; fra evoluzione del clima e diversità biologica; fra concentrazione urbana esponenziale ed economia; fra guerra fredda e cultura ambientale.
Per avere un immediato quadro della evoluzione estrema dell’Antropocene e dell’implicito dovere di intervenire, basta richiamare sinteticamente alcuni dati globali per quantità, percentuali e conseguenze che attestano la narrazione del testo.
Consumo esponenziale di energia: nel 1940: 20%, nel 2015: 80% di energia da combustibili fossili;
Crescita demografica esponenziale, nel 1940: 2 miliardi e mezzo, nel 2015: 7miliardi e mezzo di anime; (una triplicazione altrimenti detta “bomba demografica”)
Concentrazione urbana esponenziale: nel 1940: 700 milioni, nel 2000: 3,7 miliardi di abitanti le grandi città;
Motorizzazione esponenziale di veicoli a motore: nel 1945: 40 milioni, nel 2015: 800 milioni di veicoli a motore
Produzione esponenziale della plastica: nel 1950: 1 milione di Tonnellate, nel 2015: 300 milioni di Tonnellate di plastica prodotta;
Produzione esponenziale di Azoto sintetizzato: nel 1950: 4 milioni di tonnellate, nel: 2015 + di 85 milioni di Tonnellate;
Crescita economica in percentuale: dal 1940 = 0,5% , 1950 = 0,6%, 1970=2%, 2015=1,5%, 2050: previsione su un trend 0,34%
Misure che hanno modificato profondamente l’ambiente terrestre, su scala locale e globale, nelle sue caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche, sociali e antropologiche con una accelerazione anomala ed eccezionale per una sostenibilità, ormai, al limite del collasso.
Si pensi solo alle gravi conseguenze per:
Riduzione dell’ozonoper una concentrazione di anidride carbonica prodotta superiore a tutti i livelli raggiunti nell’olocene in 870.000.000 di anni, e per di più in quantità non riassorbibile dal ciclo naturale.
Effetto serra con scioglimento dei ghiacciai, surriscaldamento degli oceani e dell’atmosfera, acidificazione degli oceani, inquinamento marino e terrestre;
Alterazione del Climacon danneggiamento e estinzione di diversità biologiche, con deterioramento e distruzione dell’ambiente che ha favorito le forme di vita per un miliardo di anni;
Deforestazione selvaggia per uno sfruttamento del suolo accompagnato da una agricoltura intensiva e massiva con conseguente stravolgimento del ciclo dell’azoto;
Accumulo di rifiuti tossici e di plastica, innaturale e incommensurabile, sulla terra e negli oceani;
Riduzione della risorsa idrica, per modificazioni dei bacini naturali e scioglimento dei ghiacciai,
Urge allora un capovolgimento di mentalità. Un pensiero nuovo capace di guardare e leggere la realtà complessa e inestricabile dell’oggi e, con qualità umane rigenerate, avvertirne il pericolo e dominarne la paura e il panico originati dalle criticità e dalle calamità indotte dall’uomo del secolo breve.
Se indietro non si torna, all’uomo dell’Antropocene, è evidente che non è più possibile fruire, consumare e abusare in modo improprio, egoistico e sfrenato, delle risorse della natura, per evitare l’autoestinzione. Perché, una cosa è certa: il pianeta soffre, può soffrire per miliardi di anni, ma non si estingue. E’ la specie umana che potrà scomparire.
Urge allora un cambio profondo del modo di ragionare. Occorre un pensiero, sistemico, corresponsabile, informato, competente, consapevole, sensibile alle ragioni dell’equilibrio ecologico. Un pensiero capace di superare visioni culturali miopi e monoculari, limitato all’egocentrico utile e al facile consumo. Occorrono occhiali nuovi, multifocali, scientifici e umanistici insieme, per uno sguardo storico che possa consentire un vero orientamento critico e costruttivo nell’incerto procedere in un futuro ecologico di sviluppo sostenibile. Un nuovo illuminismo. Un nuovo umanesimo. Un umanesimo a misura d’uomo che superi la protervia esclusiva della ragione moderna e post-moderna, e sappia porsi in relazione armonica e integrata con la natura. Un nuovo inedito Rinascimento.
Il libro aiuta, allora, implicitamente ad essere uomini consapevoli. A prendere coscienza dei danni di una crescita locale e globale fuori controllo. A emanciparsi dall’essere vanesi sapientini interattivi. Soggetti egocentrici maturati artificialmente fra quiz televisivi e social delle conoscenze e delle creatività profilate da informazioni e emoticon convulsive, in un gioco spasmodico, capriccioso, incosciente e autodistruttivo di un interminabile relativismo del vero-non vero.
Un libro che, nel far prendere coscienza dei limiti della mutazione Antropocenica impressa dall’uomo della nostra generazione, consente di cambiarci in uomini sapienti, responsabili del futuro, di fare mea culpa e, umilmente, sostenere i nostri figli e nipoti.
Alle domande se l’ Antropocene proseguirà o non proseguirà nel futuro; se l’Antropocene riuscirà o meno ad entrare in una nuova fase matura tale da consentire all’umanità di salvarsi dalle catastrofi e di salvare il pianeta da “diluvi universali”, non c’è immediata risposta. Rimangono incognite, quesiti aperti.
Il testo riesce, comunque, a dare qualche risposta di speranza nell’intravedere già possibili prospettive favorevoli anche se su segnali minimi, iniziali, timidi e ambigui ma, anche, istituzionali.
L’Antropocene, così dirompente come lo abbiamo vissuto e lo si vive oggi al tempo del virus della globalizzazione, il coronavirus, non potrà durare ancora per molto. Per forza di cose dovrà entrare in una fase più matura, nuova, di cui non si conoscono gli step ma, certo, basata su nuovi paradigmi antropologici, scientifici, morali, laici e spirituali, capaci di governare responsabilmente il rapporto umanità-natura in un relazione sostenibile a misura d’uomo e a misura di natura.
Quali saranno i passaggi, non ci è dato, così, saperlo. ma dal libro si avvertono alcuni primi segnali di rallentamento e di inversione della corsa, a dispetto delle apparenze:
- l’attenuazione, sia pur lievissima, della crescita dirompente della popolazione umana che ha cominciato lievemente a rallentare;
- Il volgere verso il termine dell’età dei combustibili fossili con la ricerca sull’elettrico e sull’idrogeno;
- l’esigenza democratica di una nuova governance, globale e locale, fra le pieghe delle crisi delle attuali istituzioni politiche economiche, sociali e culturali;
- lo svecchiamento di passate pratiche per pratiche compatibili con un Antropocene maturo
- i segni di un nuovo inizio di rivisitazione critica dell’attività culturale in coloro, scienziati sociali e umanisti, che si occupano di interpretare i fatti naturali e umani.
Sembrano i primi anticorpi di resistenza ad un Antropocene senza regole, lineare, ingenuo e infantile per un’immunizzazione dell’uomo di una nuova fase antropocenica che possa prendersi veramente cura delle generazioni future e della natura che dovrà alimentarle e le sostenerle.
Anche se il cielo è cupo, forse c’è ancora speranza.
Dobbiamo saper sperare, saper leggere, saper pensare per creare un nuovo e urgente patto di stabilità con il nostro pianeta.

LA STORIA DEL TENENTE COSIMO G.
Giustizieri Gianfranco, La storia del tenente Cosimo G., Carabba 2021
È proprio vero. Ci sono romanzi che riescono ad aprire la mente alla comprensione di momenti tragici del passato, attraverso storie apparentemente “laterali”.
Sono quelle narrazioni che completano e correggono di significato e di senso eventi macro-storici riportati nozionisticamente sui manuali scolatici. Sono quei romanzi che restituiscono autenticità storica attraverso un attento scavo “archeologico” di reperti e documenti di accadimenti e eventi accertati mediante la ricostruzione correlata di fatti reali, colti nella drammaticità vitale di vicende umane, personali e collettive, locali e nazionali, investiti e, a volte, sconvolti da un profondo processo di mutazione.
Gianfranco Giustizieri, con la sua capacità di recupero, di interpretazione e di connettività documentale, di ricostruzione di significati storici e di vissuti umani, sintonizza e trascende la cronaca di un tempo su orizzonti di senso più ampi, recuperando in primo piano la drammaticità di un protagonismo umano implicato, travolto, sofferto, partecipato, spesso dimenticato che ha accompagnato le nefaste vicende della guerra.
Fra l’armistizio del 1943 e la nascita della Repubblica Italiana si svolge la “La storia del tenente Cosimo G.”
È la dolorosa storia di chi, pieno di sogni, come ufficiale comandante del piccolo, quasi anonimo, aeroporto militare di Bagno nel territorio dell’Aquila, si ritrova a misurare la propria vita sulla sorte imposta dalla drammatica e travolgente realtà dell’occupazione tedesca in ritirata, della resistenza partigiana, di una nazione e di una società in profonda mutazione e tutta da ricostruire.
È la storia drammatica di un uomo dal temperamento leale, il cui profilo contraddistinto da un forte etos di giustizia, di bene, di fiducia e contrassegnato da un forte sincero patos di sentimenti appassionati di amore e di profondi legami familiari, confluisce in un alto senso della dignità di sé e per gli altri. E’ la storia di un “patriota”, riconosciuto tale per la “collaborazione attiva nella guerra di liberazione di quegli anni senza un impegno diretto con le armi”, ma scivolata in quell’anonimato dell’uomo comune del paese nel dopoguerra.
La penna di Gianfranco Giustizieri, del ricercatore e dello scrittore insieme, ti coinvolge in una lettura emozionale e intellettuale, facendo meditare la sofferenza vissuta e dimenticata di un ufficiale, il tenente Cosimo G.; la vera storia “a latere” dell’“eroe comune”, travolto e coinvolto dalla violenza dei fatti ma, comunque, sempre al di qua dei riconoscimenti propri della storia ufficiale.

Pietro Attinasi -Maria Di Vuonno, La vera fiaba di Virus Corona, Edizioni Arianna, 2021
Il libro sulla scrivania, è lì quasi per magia. Ti attrae e ti invoglia a immediata lettura. Una fiaba dal titolo che subito ti rimanda alla crucialità del momento storico. Si riaccende, infatti, la curiosità di una mente provata, stanca, resa quasi rinunciataria dalla complessa e controversa situazione della pandemia attuale. Improvvisamente, dopo aver letto saggi e articoli scientifici e aver ascoltato notizie, una fiaba ti fa ritrovare la speranza di cogliere un senso là dove il senso, parafrasando i versi di Vasco Rossi, sembra essersi disperso, se non completamente ecclissato. La lettura della fiaba ti restituisce, nel contesto dei quotidiani ossimori di verità e contro-verità della comunicazione reale, il gusto di pensare seguendo il senso logico del verosimile. Sì, di quel verosimile che solo la narrazione fantastica di una fiaba può donare, trasfigurando in sé anche momenti di comune esperienza. Visione e logica che solo nel realismo del racconto fiabesco si ritrovano. Un realismo narrativo, fascinoso e coinvolgente dove il pensiero degli autori e quello dei lettori si incontrano per correre insieme sulla stessa strada e nella stessa direzione; quella del senso ecologico, per raggiungere l’equilibrio vitale e morale con se stessi e con la natura e la salvezza da una catastrofica autodistruzione.
Corona Virus è il personaggio principale della fiaba. Insieme ad altri amici, un pipistrello e un’ape nera, dà senso alla storia. Nella sua micro-minimalità attraversa il tempo millenario raggiungendo il mondo contemporaneo e attuale, dove i “giochi” dell’uomo sapiens hanno compromesso equilibri e pregiudicando irreversibilmente la natura, … Il resto al lettore a cui non si vuole togliere il piacere e la partecipazione della lettura personale del testo.
Immagini e parole rendono il libro non solo piacevole ma altrettanto interessante. La vitalità del racconto nel caratteristico ‘tempo senza tempo’ proprio della fiaba, si carica di attualità e riesce ad aprirsi alla speranza. Infatti, nella realtà complessa, resa ancor più complicata dalla drammaticità pandemica, la lettura si fa forte esperienza culturale e pedagogica per il bambino che ascolta e apprende, per il giovane che legge e si forma, per l’adulto che cerca risposte sulla propria e altrui vita e sugli enigmi della natura e che vuole comprendere, rimanendo capace di interpretare eticamente e ecologicamente la realtà, senza perdere la forza dell’immaginazione, dell’emozione e della creatività insieme a quella del sapere, della scienza e della tecnica.

Sandra Passerotti, Le ragazze di Barbiana – La scuola al femminile di Don Milani, Libreria Editrice Fiorentina 2019
Le ragazze di Barbiana esce in libreria in uno dei momenti più critici della scuola italiana e mai vissuto prima, dal dopo guerra ad oggi. Il libro nel rinnovare valore e portata della scuola di Don Milani, ne completa la narrazione della non conosciuta dimensione femminile. Visto il momento, poi, implicitamente ne confronta l’attualità con l’urgente bisogno di rigenerare un pensiero pedagogico in un sistema scolastico gravemente malato.
Un forte e inespresso bisogno, infatti, viene emergendo fra le famiglie, i docenti, gli studenti. Il bisogno di senso pedagogico di una scuola paradossalmente reclusa e condizionata dalla attuale pandemia, in un anno scolastico improvvisamente reciso.
La paradossale ibridità del paradigma post-moderno “essere – non essere” ha colpito anche la scuola e, con lei, tutto il popolo scolastico. La “scuola-non scuola”, l’impensabile assurdo pedagogico, è realtà. L’esperienza vitale d’aula, la diretta relazione didattica interpersonale, sono sospese e lasciano spazio alla sola didattica della distanza: didattica tecnologica della relazione virtuale. Un sistema, parafrasando il racconto dell’informazione dell’eroismo attuale, di alunni, genitori, operatori scolastici, docenti e dirigenti non-eroi.
Il buon senso della mente comune si interroga e, dopo lo stupore del primo chiedersi “ma che succede?”, espande la domanda. Che senso ha una scuola solo domestica? Che senso ha una scuola solo tecnologica? Che valore educativo può rivestire una scuola deprivata del rapporto vitale e diretto, ammesso che sia possibile? La tecnologia educativa della didattica a distanza, da sola può sostituirsi efficacemente alla parola, al gesto, alla corporeità, alla dialettica e alla relazione fisica e in presenza che costituiscono il fulcro delle dimensioni formative? Che senso educativo ha una relazione, obbligata al distanziamento sociale, prossimale e remoto, ovvero a inedita frequenza scolastica a senso alternato e dimidiato? E quando normalizzata la scuola dovrà soddisfare solo esigenze di intrattenimento sociale?
In breve: Che valore educativo può avere una scuola ridotta così? Può bastare?
Se le tecniche (strumenti) e le tecnologie (conseguenti modalità di insegnamento/apprendimento e di elaborazione culturale) hanno da sempre, lungo i secoli, concorso a configurare la didattica nella scuola, è la pedagogia, implicita o esplicita, che ne ha caratterizzato e caratterizza la funzione educativa performante.
E’ l’anima pedagogica che rende le tecniche analogiche e/o digitali, realmente funzionali perché ogni alunno possa conoscere, comprendere e migliorare la vita propria e altrui.
Sembra giungere, allora, a proposito sulla scrivania il libro: Le ragazze di Barbiana, la scuola al femminile di don Milani, di Sandra Passerotti. Libro recentissimo (novembre 2019 - seconda ristampa febbraio 2020) che ripropone, accrescendola, la qualità dell’esperienza educativa, già tanto famosa e importante, del curato di Barbiana, a conferma del valore e della sua intrinseca attualità.
Qualcuno potrebbe chiedersi cosa renda il libro così interessante; ovvero, cosa c’entri un’esperienza educativa di 50 anni fa, considerata al limite, povera e addirittura sguarnita di quei mezzi minimi per la didattica normale. Una scuola, in un certo senso arrangiata, che è maturata in un contesto contadino degli anni 50-60 ad alto analfabetismo primario. Cosa c’entra con il contesto attuale, a diffusività tecnologica generalizzata, portatrice invece di altri e nuovi analfabetismi?
E’ evidente che, se negli anni 50 il problema era quello di emancipare dalla dipendenza di una ignoranza primaria, socialmente strutturata e stratificata, ai nostri giorni è quella di liberare dalla inerzia di una dipendenza tecnologica, a-critica, autoreferenziale e entropica, di un esclusivo dilagante tecnicismo d’uso.
Due situazioni sociologiche e culturali diverse, ma medesimo il bisogno educativo di libertà creativa e conoscitiva, di indipendenza critica, di elaborazione di pensiero autonomo, di sicurezza in tutte le interazioni e relazionali sociali, di dominio dei mezzi di espressione culturale e di padronanza dei mezzi tecnici e tecnologici del momento.
L’originalità del libro è nella narrazione al femminile della scuola di Barbiana attraverso nove testimonianze dirette di ragazze di ieri, oggi donne mature, che raccontano la fortunata esperienza di avere ricevuto, in diretta, la guida, la cura e l’insegnamento del curato fiorentino.
Il libro non aggiunge un qualcosa in più alla già conosciuta potenza innovatrice di Lettera a una professoressa. Pedagogia, allora, controcorrente di Don Milani, dove l’esperienza viva dell’apprendimento costiuisce la strategia e la prassi didattica per formare uomini e donne, al fine di restituire loro dignità dando gli strumenti concreti per conoscere, per essere liberi e per affrontare la vita.
Le ragazze di Barbiana portano alla luce l’esperienza femminile di quella scuola. Storia poco conosciuta, che dalle narrazioni riportate, riconferma e rafforza anche per l’oggi la validità dei tratti portanti di quella pedagogia, di quella scuola:
- un’istruzione teorica e una formazione pratica e concreta capace di rendere coscienti dei propri diritti e, pertanto, di liberarsi da ogni restrizione naturale e sociale;
- una formazione atta a rendere liberi e responsabili nelle scelte, per non essere condizionati dalla necessità;
- un’emancipazione della propria personalità, ancorata ai valori della Costituzione e ai principi del Vangelo, per sentirsi persone e cittadini indipendenti e autonomi, per non vivere complessi di inferiorità e comportamenti di sottomissione, e per avere il coraggio della difesa delle proprie ragioni;
- l’affermazione dell’uguaglianza nell’uomo fra i due generi, dove, come ci viene testimoniato nel libro, Don Milani vedeva come unica differenza il fatto che “le femmine capiscono qualcosa nei fatti altrui mentre i maschi capiscono solo nei loro propri”
Una pedagogia che va molto al di là delle nozioni. Una pedagogia che punta a stimolare l’appetito della conoscenza, il porsi domande, il farsi ed essere pensanti, ad impadronirsi della parola, a riconoscere i problemi e cercarne le soluzioni, a risolverli, a trascendere i ristretti confini territoriali, ad aprirsi all’esperienza internazionale.
Formare, cioè, persone dall’intelligenza sveglia, vigile, capace di difendersi ed eticamente responsabili. In una parola educare a quella apertura mentale, per sentirsi unici, apprezzati, valorizzati e, come le ragazze di quell’isolato luogo, … sempre aperte alla conoscenza e allo studio.
Grazie a questo libro, la pedagogia di Don Milani, come pratica scolastica, attiva e liberatoria, per il possesso degli strumenti essenziali del sapere di allora, si ripropone ancor oggi come riferimento quanto mai attuale in questa profonda crisi della scuola, per riorganizzarne la complessità e rimpostarla nel nuovo contesto tecnologico, con la medesima cura del curato di Barbiana.
Mai come in questo momento, infatti, Lettera a una professoressae l’attuale libro di Le ragazze di Barbiana, per l’unitario portato pedagogico e l’incidenza educativa generale e sistemica, potrebbero proporsi in un unitario immaginario cofanetto dal titolo: “Lettera a una Ministra”.

Alberto Alberti, Ludovico e le sue storie, Ed. Anicia, collana "scrittori della scuola" 2020
Sinossi:
Ludovico è un testimone più che un protagonista. La Storia con la lettera maiuscola e le piccole storie degli uomini si addensano attorno a lui a partire dai tempi del gran cambiamento geografico e sociale seguito alla seconda guerra mondiale, quando all'Italia contadina e borgo-artigianale si venne sostituendo una nuova realtà industriale e urbano-metropolitana. Sono storie di scuola e di politica, ricche di forza e di speranza, nell'attesa di un nuovo mondo e di una nuova poesia. Ma il profumo di quegli anni, come la giovinezza, si disperde nei territori della memoria, divenendo sempre più lontano, diverso e sfuggente.
Recensione
LUDOVICO E LE SUE STORIE
Ludovico e le sue storie. Testimone della Storia, quella con la lettera maiuscola, come ama definirsi nella sinossi. La Storia del tempo che gli è dato di vivere. Protagonista-osservatore di storie di umanità, individuali e sociali, che si intrecciano, formano e caratterizzano il reticolo complesso, inedito e originale dell’esserci di Ludovico nel suo svolgersi vitale. Ludovico è testimone e protagonista. Il senso storico è la cifra non soltanto della percezione dell'essere del tempo passato, ma la percezione della sua ‘presenza’. Il romanzo non è racconto autobiografico, sommativo di ricordi, bensì attualità di vita. La storia di Ludovico è vita. La narrazione di Ludovico è cultura. Perché in lui la vita è cultura e la cultura è vita. Il romanzo ne rivela il senso attraverso la sensibilità storica del protagonista che dall’ “attualità” plurale di situazioni, personaggi, e ambienti, vive il continuum dinamico della singolarità del suo io. Fra passato, presente e futuro - si concentrano e dipanano dimensioni antropologiche, esistenziali, sociali, istituzionali, politiche e psicologiche. Sono dimensioni proprie del protagonista e dei co-protagonisti, colte nella dialettica che da casualità di situazioni si fa casualità e consapevolezza critica dell’esistenza in situazione, sullo sfondo di uno snodarsi profondo e interrogativo, a tratti nostalgico, del misterioso dilemma della vita. Età della vita, adolescenza, gioventù, maturità, vecchiaia; relazioni familiari e sociali, impegno sociale, politico ed educativo; formazione alla vita e alla cultura; emancipazione femminile, sessualità e amore; ambienti territoriali: paesano e urbano; tensioni ideologiche e moti dell’animo, sono i tratti vissuti, colti nella dinamica partecipativa alla trasformazione storica della nostra modernità dal dopoguerra a oggi, espresso dalla sintesi vitale del racconto. E' il racconto formativo–autobiografico di Ludovico con i suoi interrogativi e le sue certezze. Nella lettura del romanzo, si scopre una ricchezza narrativa, di fatti ed eventi, che dallo scenario dinamico, avvincente e interessante della trama di vita del protagonista, si apre all’incontro con l’autore. Perché, non c’è lettura che non sia incontro fra scrittore e lettore. E’ nella lettura che avviene quello scambio di reciprocità che è scambio di amicizia culturale. Parafrasando l’autore “nessuno …[può] … essere quello che realmente …[è]…, se non …[ha]… uno, due, tanti “altri” con cui interagire. …” . La lettura diventa allora quell’amicizia per cui “… io ho in me un po’ di te, e tu sei e sarai importante per me, per quella parte di te che è diventata me”.
L’incontro con l’autore Alberto Alberti ti coinvolge in una tensione vissuta fra cuore e mente, sorprendendoti nell’attualità contemporanea di tempi comuni di vita.
Uomo “nobile” di scuola. “Nobile” per demos e polis democratica espressa nella educazione, nella istruzione e nella formazione alla vita come cultura, vissute da innovatore riflessivo, determinato, pacato e discreto, che oggi attraverso la scrittura trasforma nell’amore per la vita in ricerca continua del suo senso più profondo. Autore di interessanti pubblicazioni nelle edizioni Anicia, con questo ultimo lavoro apporta valore specifico alla collana dell’Editrice, “autori della scuola”. Una collana che nasce per accogliere la ricchezza umana e culturale che promana da chi vive e ha vissuto la scuola con l’etica professionale di un umanesimo laico che si pone al di sopra di ideologie e dogmatismi. Una collana, non esclusiva della scuola, ma che dalla scuola è aperta a tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno vissuto e incontrato la scuola. Persone che, come, Maria, personaggio singolare del romanzo, hanno la voglia di imparare e di esprimersi.
Buona lettura “a inseguire personaggi ed eventi, per strade sconosciute, tenuti per mano dalla parola” trasparente dell’autore.

Giovannini E., L’utopia sostenibile, Edizioni Laterza 2018
Quando un sogno di futuro si alimenta di ingenuo ottimismo o di pessimismo nichilista, spesso chiuso nelle sicurezze anacronistiche del passato, si rimane legati in un mondo ideologicamente bloccato e sempre più a rischio. Il sogno aleggia come utopia impossibile e sempre più insostenibile.
Quando, invece, un sogno di futuro si riveste di ottimismo realista, capace di guardare alle criticità della vita e aperto alle emergenti possibilità di cambiamento positivo, allora quel futuro diviene possibile. Può avverarsi che l’utopia che lo anima divenga veramente sostenibile.
Su questa seconda prospettiva si colloca il libro di Enrico Giovannini: L’Utopia Sostenibile.
Sullo sfondo, una realtà in crisi. Un modello al collasso. Un quadro deteriorato.
La rappresentazione irreversibile di un modello di sviluppo lineare di crescita economica ormai giunto, dopo i suoi shock e quelli conseguenti, sociali e ambientali, alla fase più acuta e drammatica di quella “tempesta perfetta” già prevista dal 1972 nel Rapporto del Club di Roma. Una catastrofe sui limiti di una crescita (The Limits to Growth) preannunciata sin da allora e, oggi, ormai a breve distanza dal limite temporale estremo indicato (2030) e non più emendabile. Un mondo a caduta libera. L’utopia ideologica della crescita infinita, della concentrazione totalizzante e monopolistica della ricchezza, dello sfruttamento illimitato delle risorse naturali, dello smisurato e irresponsabile inquinamento, non regge più. Come era prevedibile, anche per il semplice e comune buon senso e non solo per quello scientifico, il declino culturale e sociale della popolazione, il collasso delle condizioni economiche, il deterioramento di quelle ambientali forniscono un quadro quasi apocalittico e al limite, ormai, del non ritorno.
Senza nascondere la drammaticità della situazione del sistema globale e locale e la conseguente urgenza di cambiare paradigma, l’autore con competenza informata e vissuta, con dati e documenti alla mano, scientifici e istituzionali, aiuta a comprendere che, sia pur in zona cesarini, una nuova utopia è possibile, anzi è già apparsa all’orizzonte e va sostenuta. Un nuovo paradigma economico; la transizione da un’economia del PIL – Prodotto Interno Lordo - a una economia del BES – Benessere Equo e Sostenibile, accompagnata non solo dalle necessarie trasformazioni istituzionali ma da un profondo cambio di mentalità.
L’autore, esperto e attore di primo piano di economia sociale, fondatore e portavoce dell’Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile, col suo libro informa e fornisce dati e offre un prezioso servizio culturale per rigenerare il pensiero politico, economico e sociale in quel “paradigma dello sviluppo sostenibile e della “resilienza trasformativa” in cui “il capitale umano e quello sociale sono altrettanto fondamentali del capitale economico e di quello naturale”.
Un nuovo modello di sostenibilità intergenerazionale e di economia circolare, si viene configurando. Esso appare sempre più capace di definire piani e programmi per il passaggio definitivo dell’umanità in “uno spazio equo e sicuro” di una nuova era. L’era dell’antropocene, in cui “è l’uomo, con i suoi comportamenti, a determinare lo stato e l’evoluzione dell’intero pianeta ed [in cui] è quindi l’uomo a doversi assumere la responsabilità globale di gestire il mondo”.
Nell’ultimo cinquantennio, dal Rapporto del Club di Roma (1972) in poi, si è aperto un cammino che, ha attivato, sia pur gradualmente e a rilento, una nuova generativa sensibilità culturale e politica di sviluppo sostenibile. Per questo, l’autore, ci coinvolge con vis passionale a essere “determinati a intraprendere le azioni coraggiose e trasformative che sono urgentemente necessarie per portare il mondo su un sentiero di sostenibilità e resilienza”.
Lungo questo arco temporale a cavallo dei due secoli, fatto di momenti importanti nella discussione internazionale, lo sviluppo sostenibile è venuto maturando, con i suoi alti e bassi, fino ad affermarsi nell’accordo delle Nazioni Unite sull’ “Agenda 2030”, votata a Parigi nel 2015.
L’importanza dell’Agenda 2030, soprattutto, in questo momento di crisi generale e globale dell’economia capitalista, ha valore strategico e universale. L'Accordo, condiviso e firmato da 195 Paesi, costituisce riferimento politico, istituzionale e culturale forte nella e per la governance planetaria, globale e locale. Primo trattato universale, giuridicamente vincolante, impegna direttamente e concretamente tutti gli Stati firmatari sui 17 obiettivi condivisi, declinati in più precisi e puntuali 169 sotto-obiettivi (Target), tutti relativi al bisogno urgente di soluzione dei problemi reali, vitali e concreti, dell’uomo contemporaneo, dell’umanità intera e del pianeta
attraverso l’instaurazione di un vero sistema di sviluppo sostenibile.
Un programma e un piano d’azione di sostenibilità intergenerazionale. Sistema unitario, integrato e integrante, le dimensioni: ambientale, economica, istituzionale e sociale. Un modello che dalla massimizzazione del PIL può effettivamente aprire all’incremento del BES - Benessere equo e sostenibile in una logica innovativa di economia digitalmente interattiva, circolare e rigenerativa.
L’Agenda 2030, infatti, nel porsi come piano costitutivo di pattuizione di nuove corresponsabilità di politica internazionale, è programma di riorganizzazione di politiche nazionali e comunitarie da concretizzare in una nuova logica di sostenibilità e flessibilità e, insieme, di cambio di mentalità in una crescita sociale condivisa, secondo la filosofia della responsabilità del “noi”; di un “noi” inclusivo.
Orizzonte prospettico interessante, allora, anche per pensare e immaginare, implicitamente, una più matura democrazia responsabilmente partecipata e condivisa; una democrazia, espressione autentica di sviluppo sostenibile e resiliente.
In questo modo i traguardi, fissati dall’ONU con l’Agenda 2030, rappresentano per il futuro prossimo venturo, obiettivi vitali e cruciali per l’umanità e per il pianeta relativamente a fame, salute, acqua, povertà, energia, infrastrutture, occupazione, disuguaglianze, clima, pace, istruzione. Obiettivi che per la loro concretezza esistenziale, rendono l’utopia dello sviluppo sostenibile, complesso sì, ma fattibile e necessario. L’unica esigenza: un cambio di mentalità. Un pensiero aperto, circolare e partecipe a tutti i livelli da quelli globali a quelli locali fino al cittadino, il cittadino insieme della propria patria e della patria-terra.
L’incremento delle tecnologie, di una governance globale, nazionale e locale, rigenerate sulle note di una democrazia coerente con lo sviluppo sostenibile e, soprattutto, con un cambiamento profondo di mentalità, costituiscono le condizioni necessarie e fondamentali perché si realizzi quella necessaria trasformazione e transizione completa alla civiltà nella sostenibilità
Sembra, allora, assistere ai tempi finali e supplementari della partita del modello economico competitivo della crescita lineare dell’economia del PIL. Una nuova speranza, e una nuova prospettiva sembra illuminare l’orizzonte con una nuova e legittima utopia. L’utopia sostenibile.
Un libro importante. Prezioso anche per vivere, comprendere e partecipare il processo di cambiamento in atto, mentre giungono notizie sempre più insistenti di nuove azioni e linee politiche appena avviate e in dirittura di lancio, dal “Green Deal” della Comunità Europea al preannunciato piano americano per un “Green New Deal”, come un vero e proprio Piano Marshall verde a dimensione planetaria.
Un libro importante. Funzionale alla comprensione delle dimensioni sistemiche della transizione, e alla partecipazione e promozione responsabile dal basso di quel necessario cambio di mentalità “co-mune” perché l’utopia della sostenibilità non si riduca a una nuova narrazione retorica di mutamento apparente e di facciata, tanto per una semplice ri-coloritura alla moda “green” dell’attuale modello economico, già per altro al verde.

Antonio Pileggi, Pietre, Rubettino Editore, 2019
Quando l’esperienza personale si fa osservazione critica, ogni riflessione si fa storia viva, si fa cultura attiva. La storia siamo noi. Attraversa l’esistenza dell’uomo e del cittadino e con i suoi fasci di tradizione, di saperi, di eventi e fatti si rifrange e illumina il suo presente e si proietta su possibili futuri. E’ la storia processo; esperienza di vita, esperienza culturale. Non è il presuntuoso slogan retorico per definire, stigmatizzare e interpretare come deposito archeologico e museale di un passato prossimo o remoto, a cui si può attingere, se si vuole. La storia siamo noi in quanto, realizzando la nostra vita, viviamo sulla terra come generazione pro-tempore; viviamo il nostro presente quale spazio di congiunzione intergenerazionale fra passato e futuro. Nella contestualità polifonica, plurale, complessa e entropica di espressioni e bisogni esistenziali, individuali e sociali, si è immersi nell’attualità intergenerazionale che è dato vivere nel continuo intrecciare fili di senso del passato con quelli del futuro. Vivere lo spazio storico per riparare, ricostruire vecchie vie e costruirne di nuove verso l’ignoto. E’ un cammino che si fa strada, si fa itinerario, si fa proiezione. Si è tutti, attori e osservatori, ognuno con il proprio apporto di qualità personale, di originalità, ed esperienza. Ognuno a suo modo. L’autore, che scrive il libro di oggi sulla scrivania, è attore-osservatore attento. Ha raccolto pietre per lastricare di senso la strada percorsa, guardando al futuro. Interessanti spunti e riflessioni sono le “pietre” di un pensiero vivo, libero e liberale. Pietre per costruire, sanare, riparare, ripavimentare, e consolidare strade; per costruire ponti. Pietre di partecipazione al bene comune. Pietre di riflessività critica e di considerazione etica della libertà nella libertà e della democrazia nella democrazia. Pietre ritagliate a misura di Costituzione; pietra angolare, bussola orientativa e livella per ogni lavorazione etica, giuridica, sociale, pedagogica e politica. Pietre levigate dall’esperienza, personale, professionale, sociale, istituzionale dell’autore.
Il libro costituisce la raccolta di dieci anni di esperienze, spunti, riflessioni di vita professionale, giornalistica, culturale, educativa, politica che, con libero e franco atteggiamento critico e di confronto dialettico, intersecano l’attualità storica e l’emergenza di eventi, fatti, prassi e iniziative sociali e politiche.
Il libro non è una antologia. E’ qualcosa di più. E’ la lettura plurale di eventi e situazioni nella consapevole preoccupazione dell’autore che “L’Italia sta vivendo una lunga notte nella quale tutto è divenuto precario, dalle libertà dell’individuo alla dignità del lavoro umano, dalla certezza del diritto alla sicurezza della convivenza sociale, dalla stabilità dell’ordinamento costituzionale alle singole istituzioni. … senza che ci sia stata una guerra con bombardamenti e carri armati, siamo stati fatti sprofondare in una crisi istituzionale, sociale ed economica da dopoguerra. …” (rif. Pag. 15).
Pietre, dunque per camminarvi sopra verso un futuro incerto ma dall’orizzonte aperto, equipaggiati di ottimismo realista e di consapevoli pensieri di libertà.

Mancini R., Trasformare L’economia – Fonti Culturali, Modelli Alternativi, Prospettive Politiche, Franco Angeli 2014
Quanto ma iprezioso e quanto mai a proposito appare oggi Il libro sulla scrivania” per la necessit:à di comprendere, pensare e agire il nostro presente nella complessità della situazione storica attuale: Roberto Mancini: Trasformare l’Econonia – Fonti Culturali, Modelli Alternativi, Prospettive Politiche. Un testo interessante e importante nel tempo attuale di trasformazione epocale. Che è proprio
Con autorevole scientificità e con il linguaggio che è proprio della chiarezza delle idee il libro è alla portata delle persone e dei lettori comuni. L’autore accompagna a considerare il tempo che attualmente viviamo nella realtà profonda di un processo epocale di restituzione e trasformazione, che va ben oltre i principi del riformismo dell’adattamento o della rivoluzione ciclica; ben oltre il mito del capitalismo.
Dopo una interessante analisi e reinterpretazione delle radici del capitalismo e dei molti inizi della modernità, l’attenzione si volge al processo di modificazione e alle sue svolte di “trasformazione” tuttora in atto.
La prima svolta si manifesta in un processo di modificazione culturale e spirituale che viene configurandosi nell’ incontro fra “le sapienze antropologiche e delle culture del mondo”.
La seconda svolta emerge come processo di mutamento metodologico dell’economia. Un nuovo paradigma viene maturando sotto la spinta del bisogno e del desiderio, attivo e partecipato, di una sua riorganizzazione in un orizzonte nuovo, plurale e unitario, che va costruendosi da ipotesi innovative e che pervengono da “sentieri” sperimentali di modelli e proposte economiche diverse e comunque alternativi sia al capitalismo finanziario-consumista sia al socialismo reale. Il paradigma del dono, il modello gandhiano, la concezione islamica, il paradigma olivettiano della comunità, il modello bioeconomico, quello della decrescita, il sistema di comunione, il progetto di economia civile, l’approccio al bene comune, e le esperienze di economia solidale e partecipativa, rappresentano tante esperienze vive che non solo si muovono in risposta al bisogno comune e alla convergente domanda di un nuovo sistema economico, sostenibile e compartecipato, ma si aprono verso un nuovo possibile scenario integrato di un’altra economia.
La terza svolta, infine, si costituisce e si caratterizza su una nuova sensibilità culturale e politica che, sottesa da un forte bisogno di etica del bene comune e di giustizia restitutiva dei diritti, viene configurandosi nel bisogno di più elevata, più autentica e più matura democrazia.
Un libro autorevole per fondatezza scientifica e per attualità, di interesse soprattutto popolare, perché fondativo, orientativo e performativo di un pensiero rigenerato e aperto in un dibattito cruciale e complesso in cui, volenti o no, come uomini e cittadini di questo presente, siamo tutti obbligatoriamente immersi per interesse vitale.
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